di MASSIMO CONSORTI –
Piero Calamandrei, il 26 gennaio 1955, disse ai giovani: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
La Carta Costituzionale compie 70 anni e, a parte qualche punto dove li dimostra tutti, per il resto è attualissima, quasi vergine direi, perché nonostante del tempo sia trascorso, non tutta è stata applicata, non tutta ha trovato la piena espressione di sé in un Paese che non solo dimentica facilmente, ma che è abituato a mettere in atto solo quello che gli fa comodo.
Lasciando perdere l’enfasi benigniana della “Costituzione più bella del mondo”, c’è da ammettere che nessuna Carta a livello planetario, ha in sé tanta socialità e tanto rispetto per l’uomo, quasi un passo avanti rispetto alle stesso atto fondativo dell’Onu e una visione della vita che non era solo politica ma anche profondamente umana e rispettosa dei diritti umani.
In questi anni, in molti hanno provato a modificarla, “modernizzarla” dicevano, e se nessuno c’è riuscito una ragione ci sarà. Probabilmente quella principale è che tutte le modifiche proposte, invece che un passo in avanti erano un pericoloso passo indietro, un modo per adeguare la nostra Carta Costituzionale alla globalizzazione, alla mancanza di diritti, al non rispetto di quelli fondamentali, come il lavoro. È vero che la Costituzione italiana non prevede il “diritto alla felicità” come quella statunitense, però è anche vero che se tutti gli italiani avessero un lavoro, una casa, una famiglia e, tanto per largheggiare un’amante (con l’apostrofo e non), alla felicità ci avvicineremmo parecchio.
Quando si parla di diritti negati, parliamo proprio di quelli che pur previsti in Costituzione non hanno mai trovato applicazione nella quotidianità, un po’ per disattenzione, un po’ per noncuranza, un po’ perché siamo abituati a essere più realisti del re e un po’ perché siamo fatti così e rappresentiamo ancora, a distanza di 70 anni, un popolo in formazione che si è rapidamente trasformato da cittadino in consumatore.
Se poi la Costituzione dice che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (articolo 53) e non lo fa, la colpa non è sicuramente della nostra Carta ma di chi le tasse non le paga o le paga meno di quello che dovrebbe. In America se non paghi le tasse vai in galera, in Italia te la cavi con una pacca sulla spalla e tanta ammirazione.