di ROSITA SPINOZZI –
Un anno se ne va, un altro fra poche ora farà il suo trionfale ingresso tra applausi, cotillons, brindisi, buoni propositi. Con questa lapalissiana considerazione vi preannuncio che non ho alcuna intenzione di tediarvi con personali bilanci di ciò che è stato e ciò che sarà. Preferisco parlare di ciò che è, del presente che troppo spesso trascuriamo perché determinati fattori ci portano a guardare indietro, oppure a spostare la mente avanti illudendoci così di evitare una quotidianità che magari non aggrada. Oggi vi parlerò del presente, perché il mio presente – dopo tanto tempo – mi piace assai. Profuma di libertà, si chiama Il Graffio e, contrariamente a quanto si possa pensare, non ha nessuno alle spalle se non la sottoscritta e la fiducia in me riposta dai miei meravigliosi collaboratori. Ci unisce il coraggio, l’amicizia, il rispetto reciproco, la determinazione, l’entusiasmo, il desiderio di creare un contenitore per menti libere da condividere con la cittadinanza. Che sappiamo scrivere, lo lasciamo dire a voi. Basta scorrere le rubriche per capire subito che siamo persone diverse ma al tempo stesso complementari: due giornalisti di professione, un medico esperto di montagna, filosofia, piante e molto altro ancora; una sociologa-giornalista, un avvocato-blogger, un impiegato dalla raffinata penna, un esperto di cinema che si divide tra Roma e Venezia, due giovani studenti universitari appassionati di machinima e cortometraggi, un cameraman d’eccezione che vanta esperienze di alto livello. La trovo una squadra irresistibile che si muove in armonia con la mia linea editoriale. Il Graffio è nato ufficialmente il 16 dicembre 2017, anche se la gestazione è stata più lunga: ci ho pensato bene prima di cambiare radicalmente il mio ambiente lavorativo. Avevo bisogno di respirare un’aria nuova, e questa è decisamente più fresca, innovativa e congeniale alle mie idee. Nella vita ho sempre scritto, è il mio mestiere. Quest’ultima affermazione mi permetto di farla perché, oltre ai fatti, a dirmelo è stato Novemi Traini (indimenticato Giornalista con la “g” miuscola): ero alle prese con una delle mie prime interviste e, alla fine del nostro colloquio, Traini sorrise e si congedò dicendomi che avevo trovato il mio mestiere. Molti anni dopo, il 30 gennaio 2011, ho vinto il Premio a lui intitolato nella sezione “Arte & Cultura”. Corsi e ricorsi storici? Più che altro direi – Lucio Battisti docet- tu chiamale se vuoi emozioni. Prometto di non andare a frugare ulteriormente nel baule dei miei ricordi, onde evitare di essere in contraddizione con l’incipit di questo editoriale. Allora guardo al presente. Penso che è Natale e che qualcosa di buono l’ho fatto veramente, perché al mio fianco ho i migliori collaboratori che potessi desiderare, da un punto di vista umano e intellettuale. E mentre penso a tutto ciò, ieri è arrivato anche quel quid in più che mi consentirà di salutare il 2017 con il cuore che scricchiola di felicità: una mail di Paolo de Bernardin, che da tempo mi onora della sua amicizia. Qui è necessaria una premessa. Dunque, Paolo non ha certo bisogno di presentazioni: è un giornalista con un curriculum tale da far impallidire chiunque, un genio, uno dei massimi esperti di musica. Oltre alla trentennale collaborazione con la Rai, il suo nome è impresso nella mia memoria per il ruolo di cofondatore e redattore capo (fino al 1994) di Rockstar: compravo la rivista per leggere i suoi articoli. Poi l’ho conosciuto di persona e siamo diventati amici seguendo il Festival Ferré. Per l’apertura del Graffio, Paolo mi ha fatto omaggio di un bellissimo articolo. E mi sembrava già di volare. Adesso che, con il nuovo anno, avrà una sua “graffiante” rubrica, mi viene voglia di brindare in anticipo! Ma saprò aspettare e lo farò idealmente con tutti voi. Personalmente con Massimo, Americo, Domenico, Giuditta, Giampietro, Eliana, Eugenio, Daniele, Cristian. Con Paolo. E – perché no? – stavolta anche con me stessa. P-Rosit!