Occorre confrontarsi con gli specchi che incontriamo

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Ho un’immagine ricorrente che dura nel tempo e che è un simbolo del mio modo di intendere una pausa contemplativa. C’è una porta che conduce a un terrazzino dove c’è un dondolo e null’altro. É un tardo pomeriggio, l’aria è mite con leggera brezza. Il terrazzo dà sul mare. Il dondolo culla con dolcezza con il suo movimento ritmico, tranquillo e regolare come un metronomo. La domanda che mi pongo è: cosa ci faccio qui? La risposta è davvero semplice: nulla. É in quel nulla che tutto accade, sfioro come un delicato drappeggio il senso della vita, nelle pieghe dell’immaginazione filtrano nuove sensibilità ed emergono fotogrammi di un film infinito.

Recentemente ho riletto “Sei riflessioni sul Talmud” del Premio Nobel per la pace Elie Wiesel, con prefazione di Umberto Eco. Il libro, relativo al ciclo di conferenze che Wiesel tenne all’università di Bologna, mi piace per quel suo modo di porre domande che non conducono a risposte ma si aprono ad altri quesiti, come possibili sentieri di riflessione. Ognuna di queste piste scava sull’argomento ma, straordinariamente, anche dentro al lettore che verrà accompagnato con dolcezza verso quel mix, talvolta artefatto, di credenze, postulati, schemi di riferimento. Decisamente, Elie smonta questi schemi. Gli interrogativi vanno a demolire le apparenti certezze. Il lettore non può restare impassibile. E l’autore, in un certo senso lettore di sé, partecipa a questo gioco, si interroga sull’umanità, è alla ricerca del principio dei mali. E su questo, una risposta la trova quando ipotizza: “… arriverei a dire che Talmud è combattere l’indifferenza”.

Ed eccomi sul terrazzo, eccomi immerso nel dondolo che fa il suo lavoro: dondola e mi porta in tutti i mondi. La mente sa che lì non valgono i giochi del quotidiano, sa che in quel  momento non esistono pensieri che assillano e programmi da rispettare. Sono libero di cullarmi nel gioco delle domande che non cercano risposte. É il virtuosismo dei se, dei sentieri infiniti, tutti percorribili. Sono i mondi paralleli, gli universi multipli, tutti coesistenti.

Un amico psicologo ebbe a dire che occorre fermarsi sui fatti, di non salire sul crinale dei se. Perché mai? Potrebbe esserci un’opera d’arte senza le domande, senza i se che si avviluppano tra loro fino a creare ciò che non esisteva prima? Può esistere un pensiero nuovo senza una visione? Si può creare una partitura musicale solo con metodo analitico? Ma esiste l’analisi senza domande e dubbi? Posso essere creativo senza inventare fantasie bizzarre? Ecco, vedete, in un attimo si innesca il gioco delle domande e la bellezza non sta nell’aver fretta di una risposta. La bellezza è restare nel dondolo, soggiornare nelle domande, decantarsi in esse, lasciarle libere di fluttuare. Da sole andranno dove debbono arrivare.

É così che ho anche imparato a rapportarmi con il prossimo. Le obiezioni, ad esempio, sono opportunità di conoscenza. Normalmente, quando due persone dialogano e una è critica, l’altra è indotta a difendere il proprio punto di vista. Ma questo, se fatto in fretta, non è un atteggiamento creativo, è un arroccamento che impoverisce. Un’obiezione, foss’anche sciocca ed erronea, è comunque uno specchio di qualcosa. Occorre confrontarsi con gli specchi che incontriamo. Una valutazione, se è giusta, si rafforzerà. Se ha una falla si avrà modo di migliorarla. Questo è un percorso creativo.

É la creatività che ci salva e ci completa. Ci fa essere ironici senza sarcasmo e ci insegna ad ascoltare nel profondo, ci rende accoglienti e consente di osservare quello che non affiora in superficie, ci fa vedere l’incanto pur disincantati e ci lascia la speranza pur senza ingenuità. Ci fa essere leggeri ma non banali, semplici ma non superficiali.

Da quel dondolo mi alzerò, tornerò nel mondo che c’è, con i suoi schemi e i suoi vincoli, le sue impalcature e le sue economie, ma sarò corroborato e con la mente aperta a superare l’indifferenza con creatività.