di ROSITA SPINOZZI –
A volte basta un soffio di vento per far tornare alla memoria ricordi che conducono a luoghi e persone. Un soffio di vento per renderci conto che esistono anche favole vere. Oggi voglio raccontarvi una storia che assume un po’ i toni di una leggenda che circola ormai da tempo immemorabile nelle mura di un paese, antico e meraviglioso, reso ancora più magico dallo scorrere del tempo che, da vero gentiluomo, sembra fare un inchino all’intramontabile bellezza del capoluogo. In altre parole, Ripatransone, che di vento di tramontana se ne intende, eccome.
Diciamo pure che è una sua prerogativa sia durante l’estate che nel periodo invernale, tanto che il prof. Francesco Arena – insegnante di scienze e poi preside nell’Istituto Magistrale, dall’inizio degli anni ’60 ai primi anni ’90 – aveva studiato una teoria che lo portava a dire con certezza che a Ripatransone spirassero ben 69 venti. Con il tipico intercalare della sua terra d’origine, la Sicilia, pontificava le proprie tesi sotto il loggiato del Bar Sammagno. Esatta o meno che fosse la sua teoria, una cosa è certa: nel Belvedere del Piceno il vento molesto soffia addosso a tutto e tutti per la maggior parte dell’anno. Ed è anche protagonista indiscusso di una ironica “favola contemporanea” intitolata “Il Diavolo e il Vento” che, oltre ad aver ispirato l’omonimo Cd del musicista ripano Vincenzo Travaglini, svela il motivo per cui in Piazza XX Settembre c’è un punto particolare – esattamente alla fine della salita che porta alla Piazza del Duomo, proprio davanti alla Chiesa di San Rocco detta la Chiese de li Saccù – dove il vento non smette mai di soffiare, allargandosi poi per le due adiacenti piazze e il centro storico.
La leggenda narra che proprio qui il Vento incontrò il Diavolo e gli propose di andare a bere insieme un bicchiere di vino. Ma il Diavolo aveva una faccenda da sbrigare in Municipio, quindi chiese al Vento di aspettarlo. Il Vento lo aspetta ancora oggi, invano, perché il Diavolo si è trovato così bene a Palazzo che non si è più mosso da lì. Questa la sintesi, ma in realtà per comprendere bene i toni di questa emblematica storiella, bisogna fare un viaggio a ritroso nel tempo, esattamente nell’anno di grazia 1571, quando Ripatransone fu elevata a rango di Diocesi dal Sommo Pontefice Pio Quinto. Non era stato facile il conseguimento di tale traguardo perché, come ci narra il maestro Alfredo Rossi nel suo libro “Vicende Ripane’”, la comunità di Ripa, appoggiata da personaggi nobili e famosi quali Ascanio Condivi e, addirittura, il futuro San Filippo Neri, aveva iniziato già dal 1485 a tessere la tela affinché fosse distaccata dalla Diocesi di Fermo.
L’opposizione alla creazione della nuova Diocesi si fece più accanita soprattutto da parte dei Cardinali abati commendatari di Farfa e del vescovo di Fermo.Se questo potrebbe sembrare comprensibile perché la nuova Diocesi avrebbe sottratto loro territori e potere, lo è molto meno l’opposizione di un cardinale conterraneo, Felice Peretti, nato a Grottammare, che qualche anno dopo sarebbe diventato Papa Sisto V.
Il campanilismo e la ‘mmidie, evidentemente, aleggiavano anche in quel tempo nell’animo delle persone apparentemente più spirituali e nobili, visto che Ripatransone aveva già una sua storia, una sua rinomanza, un notevole benessere economico e, nell’acquisire la Sede Vescovile, era stata insignita anche del lusinghiero titolo di ‘Città’. Per farla breve, Felice Peretti divenuto ormai Sisto V, se ne uscì con un inquietante anatema: “Sarai città ma non avrai chi ti governerà!”.
Ipse dixit, verrebbe da aggiungere. Ora, direte voi, cosa c’entra il Papa con il Vento e addirittura con il Diavolo? Quest’ultimo si sa, non si dà pace se non si compiono malefatte, tanto più se spifferate ai quattro venti. Quindi ci ha messo lo zampino e il gioco è fatto. Morale della favola: Il Diavolo, considerato che nel Palazzo si era trovato molto bene, che le sue proposte erano state accettate con entusiasmo, e gli affari che gli si prospettavano con gli umani compari sarebbero stati assai soddisfacenti e remunerativi, non si è più mosso dalle stanze dei bottoni. Il Vento, disperato, è rimasto ancora lì ad aspettarlo.
Ed è ancora lì, ne sono certa. A meno che questa maledizione non venga interrotta da qualche sortilegio. Eppoi c’è chi dice che non bisognerebbe credere nelle favole…