di ROSITA SPINOZZI –
Sono tanti i cervelli in fuga all’estero. Pochi, invece, i cervelli pronti a scandagliare le molteplici possibilità che possono nascere canalizzando il lavoro verso l’Italia. E non è difficile comprenderne le ragioni perchè sono sotto gli occhi di tutti. Tanto per rimanere in tema, colpisce lo sguardo il cartello stradale che indica Via dei Laureati, a Porto d’Ascoli, dove qualcuno ha pensato bene di fare errata corrige scrivendo con un pennarello la parola “disoccupati” al posto di “laureati”. Una scritta discreta, quasi timida e per nulla invasiva, che non va a sovrapporsi all’altra, ma è semplicemente posta in antitesi, con la precisa volontà di farle leggere entrambe. Qui la verità non sta nel mezzo, purtroppo. La verità sta nell’emblematica scritta anonima che, nella sua semplicità, ci mette di fronte a un dato di fatto. I laureati sono disoccupati. Non tutti, s’intende, ma la maggior parte sì. In Italia è in crescendo il numero di giovani – in alcuni casi aiutati dalle borse di studio – che scelgono di frequentare università straniere subito dopo le superiori o la laurea triennale. Molti di loro, di solito i più bravi, ammettono di andarsene perché non hanno fiducia di trovare in Italia un lavoro all’altezza e con adeguata retribuzione. Così gettano le prime basi della loro vita professionale all’estero, mentre l’Italia proprio non riesce a calamitare altrettanti “cervelli stranieri”, nonostante la presenza di Università prestigiose come il Politecnico di Milano (quarantottesimo nel mondo e tredicesimo in Europa tra le università ingegneristiche), la Bocconi, la Luiss, tanto per citarne alcune. Inoltre, in Università più piccole, tra le quali Camerino, si tengono già corsi in inglese e sono attive partnership con atenei esteri per favorire l’internazionalizzazione. Resta il fatto che sempre più italiani se ne vanno e chiedono la residenza all’estero. E sempre più giovani partono in cerca di un futuro oltreconfine, alcuni con famiglia a seguito. Il rapporto Italiani nel mondo 2017 della Fondazione Migrantes della Cei, parla chiaro: ci sono 5 milioni di italiani trasferiti in Europa e nel mondo, con un aumento del 3,3% in un solo anno. Nel 2016 se ne sono andati 48.600 giovani compresi in una fascia d’età tra i 18 e i 34 anni, con un aumento del 23,3% rispetto al 2015. E ormai l’8,2% degli italiani vive fuori dai confini nazionali. Lo scorso anno sono partiti in 124mila. In altre parole, radici migranti e paesi che si svuotano. La fuga all’estero nel 2017 ha visto partire italiani da 110 territori verso 194 destinazioni. La Lombardia detiene il “primato” con 23mila espatriati, seguita da Veneto (11mila circa), Sicilia, Lazio e Piemonte. Dove si va? Le destinazioni più gettonate sono il Regno Unito, la Germania, la Svizzera, la Francia, gli Stati Uniti e la Spagna: Paesi che, nel complesso, assorbono il 65% delle cancellazioni per l’estero (66.664 su 102.259). Nella graduatoria delle prime venti mete preferite figurano anche Cina e Romania, mentre emerge una nuova propensione a migrare verso gli Emirati Arabi Uniti, in particolar modo Abu Dhabi e Dubai. Le regioni per le quali è più importante il flusso migratorio verso l’estero sono la Lombardia (20.389, pari al 19,9% del totale delle cancellazioni), la Sicilia (10.410, pari al 10,2%), il Veneto (9.499, pari al 9,3%), il Lazio (9.298, pari al 9,1%) e il Piemonte (7.767, pari al 7,6%). Le prime cinque province di cancellazione sono Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo da cui proviene circa il 25% delle migrazioni in uscita. Dati a parte, i laureati all’estero che svolgono un lavoro continuativo a tempo pieno guadagnano di più di quelli che vivono in Italia. Ormai da anni – troppi!- sentiamo dire che in Italia bisogna intervenire al più presto sul lavoro, che abbiamo poli di eccellenza, che i neodiplomati e i laureati devono avere fiducia e non cadere nella “trappola” del pessimismo. Dobbiamo pensare positivo, insomma. Facile a dirsi, quando i fatti smentiscono ogni più rosea previsione. Via dei Laureati, ops…dei Disoccupati, docet!