Il disco della settimana, Neil Young & Promise of the Real – “The visitor”

di PAOLO DE BERNARDIN –

Un inizio d’anno col classico e sempre attualissimo Neil Young che giunge subito dopo “Hitchhiker”, la pubblicazione di qualche mese fa uscita dal grande archivio di inediti dell’autore, datata nell’incisione al 1976, in cui risuonano echi di lontani capolavori come “Harvest” e “On the beach”.

É dal 2015 che l’artista canadese collabora con il gruppo rock Promise of the real, il cui leader, Lucas Nelson, è figlio della grande leggenda del country americano, Willie Nelson. L’ultrasettantenne Neil non ha mai perso la sua grinta scintillante e passa con notevole classe dalle melodie più affascinanti messe in luce da una voce ancora cristallina e ammaliante al rock più appassionato usato al meglio per la lotta contro il potere di una società inquinante che non smette di avvelenare il pianeta portandolo inesorabilmente all’autodistruzione. Con Lucas Nelson aveva iniziato la sua dura battaglia contro la Monsanto e il glifosato dopo l’analogo impegno a fianco di suo padre nell’organizzazione, a metà degli anni Ottanta, di Farm Aid donando centinaia di milioni raccolti con i vari concerti. Un impegno costante il suo realizzato con oltre 70 lavori discografici come solista o a fianco di amici che hanno lasciato il segno nella storia del rock dai Buffalo Springfield in avanti fino all’apertura dei suoi archivi privati messi gratuitamente a disposizione di tutti in rete. Una storia bellissima la sua costellata di successi e dolore (due figli disabili per i quali ha fondato la Bridge School per ragazzi con gravi disabilità) che oggi continua con questo lavoro che ha la stessa freschezza dei primi anni Settanta senza nessuna autoreferenzialità pieno di rock e di blues, di melodia e di canzoni bellissime spesso sbocciate dallo stesso furore del ritmo come pause trasognate. “The visitor” è fatto di cinquantaminuti molto intensi aperti dalla dura “Already great”, acida e rock come un inno feroce contro Donald Trump che inneggia a false terre promesse nella sua campagna “Facciamo di nuovo grande l’America” (la guerra tra i due era iniziata già durante la  campagna elettorale nella quale il futuro presidente aveva utilizzato senza autorizzazione un brano di Young) e che si spezza a metà in un languido coro che rimanda subito ad echi di un eterno e immarcescibile artista nato artisticamente alla fine degli anni Sessanta. É un movimento continuo di emozione questo bel lavoro di Young sviluppato tra rock di protesta (la lotta  Trump continua in “When bad got good”) e melodia (su tutti c’è una ammaliante “Almost always”) in un’alternanza che non stanca mai (persino la citazione latina à la Santana di “Carnival”) e che fa sfuggire l’artista da un rischioso e monocorde leit motiv di una lunga vita artistica che l’ha visto protagonista per 50 anni.

STANDARD
(La storia delle canzoni)

The song is you (Hammerstein-Kern) 1932

Quando ti sfioro la mano sento una magnifica armonia che arriva da una terra incantata e dal profondo del cuore mi dico: “è questo il giorno?” /Che splendida rapsodia d’amore, di giovinezza e di primavera. La musica è dolce. Le parole sono sincere. La canzone sei tu.

Era il 1932. Dopo il grande successo, cinque anni prima, di “Show Boat” e sulla scia dell’operetta, genere europeo che si contraddistingueva dal vaudeville americano e che l’autore aveva amato moltissimo nei suoi viaggi europei a cavallo dei due secoli, Jerome Kern (New York, 1885-New York 1945) componeva il musical “Music in the air”, su testo di Oscar Hammerstein, debuttando l’8 novembre all’Alvin Theatre di Broadway. Per sfuggire ai fantasmi della Grande Depressione Americana ambientò la storia in Baviera e sulla base di un plot non troppo ammaliante che narrava gli incerti tentativi di una ragazza per arrivare al successo, compose un piccolo contenitore di belle canzoni romantiche che restò in scena per 342 repliche prima di trasferirsi a Londra dove ne ebbe 275. Hollywood colse la palla al balzo realizzandone una versione cinematografica (“Musica nell’aria”), due anni dopo, su sceneggiatura di Billy Wilder e con la regia di Joe May e con l’interpretazione, nel ruolo della protagonista Frieda, di Gloria Swanson e di John Boles. Il primo artista a cantare “The song is you” fu Tullio Carminati, un attore e cantante italiano che fu scoperto e lanciato in America durante una sua tournée di successo. La prima incisione fu affidata dalla Rca Victor, nel 1932, all’orchestra di Jack Denny con il refrain (come riporta l’etichetta del 78 giri) cantato dal noto, all’epoca, Paul Small. La canzone, nonostante il buon successo di vendite, fu dimenticata per qualche anno prima di essere riscoperta da grandi artisti jazz come Tommy Dorsey e Glenn Miller il quale dichiarò essere proprio Jerome Kern colui che gli fece apprezzare la grandezza di certa musica popolare sviluppata all’interno dei musical di Broadway (“Ho studiato ogni canzone di Kern e sinceramente l’ho spesso imitato fino al punto che alcune mie composizioni suonano esattamente come se le avesse firmate lui”). Grazie all’orchestra di Tommy Dorsey, Frank Sinatra riscoprì quel brano che incise il 10 marzo del 1946 su etichetta Columbia e sotto la direzione di Axel Stordhal (l’incisione fu poi realizzata nuovamente nell’ottobre dell’anno successivo con lo stesso direttore e arrangiatore). Nel 1958 Sinatra incise una nuova versione per la Capitol con arrangiamento e direzione di Billy May (Grammy Award come migliore arrangiamento nonché Grammy per l’album dell’anno “Come dance with me!” che lo conteneva). Fu quello il vero marchio di fabbrica che fece annoverare “The song is you” nel grande catalogo degli standard americani riproposti e elaborati nel tempo a venire da cantanti e jazzisti di ogni risma.

Tra le interpretazioni più celebrate, oltre “The Voice” ricordiamo:

Stan Getz, Oscar Peterson, Clifford Brown, Annie Ross, Cannonball Adderley, Dave Brubeck, Anita O’ Day, Mario Lanza, Bing Crosby, Doris Day, Gerry Mulligan, Sonny Rollins, Charlie Parker, June Christy, Benny Carter, Nancy Wilson, Art Blackey, Lee Konitz, Margareth Whiting, Oliver Nelson, Shirley Bassey, Arthur Fiedler, Mel Tormé, Al Haig, Jaye P. Morgan, Chet Baker, Scott Walker, Joe Pass, Joe Lovano, Anthony Braxton, Keith Jarrett, Wynton Marsalis.