di AMERICO MARCONI –
Il 17 gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, del fuoco e della campagna. Il racconto della sua vita e le tradizioni che nascono dal culto evidenziano un’apparente contraddizione. Come può un uomo che ha trascorso gran parte dell’esistenza in zone desertiche e digiunando, da santo diventare protettore degli animali domestici e in particolar modo del maiale?
Antonio nacque a Coma nell’alto Egitto nel 251 da ricchi agricoltori cristiani. Ancora giovane rimane orfano e avverte l’esigenza di vendere tutto ciò che possiede per darlo ai poveri. Attuato il proposito si ritira da solo ai margini del villaggio. Fin da subito il demonio inizia a tormentarlo con forti tentazioni e gravi dubbi. Determinato va a vivere in un sepolcro scavato in una rocca, dov’è aggredito e percosso con violenza addirittura da uno stuolo di demoni che lo lasciano tramortito.
Riavutosi raggiunge il Mar Rosso, dove rimane in una fortezza romana abbandonata sopra un monte. Ci resta venti anni, nutrendosi solo di pane che gli viene calato due volte all’anno. Nella seconda parte della vita raggiunge Alessandria per confortare i cristiani durante le persecuzioni e fonda monasteri. Muore nell’anno 356, probabilmente il 17 gennaio. Le reliquie del Santo, dopo Alessandria d’Egitto e Costantinopoli, nell’XI secolo furono trasportate in Francia. Dove un gruppo di monaci benedettini dell’Abbazia di Montmajeur assisteva i pellegrini. Nel loro ospedale veniva curato il fuoco di Sant’Antonio, malattia causata da una pericolosa intossicazione alimentare di Segale Cornuta. Oggi per fuoco di Sant’Antonio s’intendono le manifestazioni cliniche del virus herpes zoster.
Ebbene il Papa diede all’Ordine Ospitaliero degli Antoniani il permesso di allevare maiali, poiché il grasso di questi animali serviva per ungere gli ammalati colpiti dal fuoco. Maiali che giravano liberi per il paese con una campanella al collo; non a caso una piccola campana sopra il bastone ricurvo accompagna l’iconografia di Sant’Antonio.
Nel mondo agrario la festa del 17 Gennaio è stata sempre molto sentita. Il pane, le così dette pagnottelle di Sant’Antonio, è ancora portato a benedire in Chiesa e poi distribuito a pezzetti agli animali domestici. Peraltro sono sempre più numerosi i sacerdoti che riprendono a benedire il bestiame e i mezzi agricoli. Nel passato a sera le campagne erano trapunte dai falò che ardevano, i fuochi di Sant’Antonio appunto, e ai bambini si facevano trovare regali dicendo che li aveva calati “Lu Vecchiò”. I carboni dei falò erano raccolti per segnare col ben augurale segno della croce le bestie.
Tipici erano i canti della questua. Gruppi di musicanti andavano per le case coloniche e intonavano: “Sant’Antonie, Sant’Antonie lu nemiche de lu demonie…”. Per ricevere alla fine dell’esibizione uova, salcicce ancora fresche, pagnotte di pane, vino. Mario Giobbi di Acquaviva Picena, cantore ai suoi tempi, riferisce che tra i contadini girava un simpatico proverbio: “Dio ci liberi dai tuoni, dai lampi e dalla fame dei questuanti”.
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