Il disco della settimana, Silva – Silva canta Marisa ao vivo

di PAOLO DE BERNARDIN –

Lucio Silva Souza è un cantante, non ancora trentenne, e polistrumentista brasiliano di Vitoria, nello stato di San Paolo, fratello di Lucas Souza, affermato cantante di canzone popolare brasiliana (meglio nota con l’acronimo MPB). Dopo una lunga gavetta per le strade di Dublino col suo gruppo rock, Captain Magic, l’artista ha scelto come nome d’arte il semplice Silva facendo il mestiere di produttore di nuovi gruppi almeno fino al 2012, quando ha esordito come cantante con l’album “Claridao” seguito negli due anni seguenti dai molto acclamati e amati dalla critica “Vista pro mar” (premiato come disco del 2014 per iTunes) e “Jùpiter”. Dotato di una voce estremamente raffinata e mai dispiegata con forza, Silva ha fatto centro brillantemente a Natale del 2016, rendendo omaggio alla celebre collega Marisa Monte che negli ultimi anni si è fatta vedere in giro più con i Tribalistas (a fianco di Carlinhos Brown e Arnaldo Antunes) che da sola (la sua produzione è praticamente ferma da sette anni). Con la sua voce e con la sua straordinaria comunicabilità Silva ha reinterpretato le canzoni della Monte con estrema semplicità, spogliandole di ogni orpello e rendendole palpitanti di melodia con uno stile vocale che rimanda al migliore Caetano Veloso (a testimonianza basterebbe la sola interpretazione alla chitarra della delicata “Sonhos”). Per nulla delusa da quel lavoro la stessa Marisa Monte, che aveva amato alla follia le canzoni dell’album “Jupiter”, ha preso parte alle registrazioni cantando in duetto la sua “Noturna (Nada de novo na noite). Il lavoro ha avuto un notevole riscontro in tutto il paese (in Italia è stato totalmente ignorato) risultando protagonista lo scorso anno del prestigioso Grammy Award Latino. Secondo la migliore tradizione degli artisti brasiliani il disco di studio ha avuto subito una replica discografica con l’uscita recente della versione dal vivo testimonianza di un magnifico concerto tenuto nella Casa Natura di San Paolo della doppia durata (90 minuti e con 10 brani in più rispetto al disco di studio) del precedente. La popolarità di Silva è già altissima in patria e lo testimonia il caloroso pubblico che molto spesso canta con lui. In fondo le canzoni sono tutte popolari e tutte molto accattivanti, salvo certi arrangiamenti che vestono spesso i suoni di un sound tipico della fusion del finire degli Settanta evidenziato da un’elettronica un po’ facilona che fa rimpiangere una strumentazione classica spesso assente nel disco, soprattutto nella parte iniziale. Tra le due dozzine di canzoni di questo lavoro ci sono davvero momenti altissimi che impongono Silva come una delle future speranze della MPB. Basterebbe, a testimonianza, brani pieni di magia come “O bonde de dom”, “O que me importa”, “Tema de amor” “Pecado è lhe deixar de molho” “Noturna”, “Sonhos” assolutamente perfetta, “Amor i love you” (eseguita col pubblico come in una cerimonia religiosa e processionale), “Beija eu” celebrata nel video da baci di ogni tipo e “Verdade, ultima illusao” con l’intrigante ritmo reggae.

STANDARD
(La storia delle canzoni)

I only have eyes for you  (Dubin-Warren) 1934

“Il mio deve essere un amore cieco, non riesco a vedere nessun altro tranne te. Ci sono stelle stanotte? Non so se sia nuvoloso o sereno. Ho occhi solo per te, cara. Non so se siamo in giardino o in una strada affollata. Tu sei qui, come lo sono io. Forse milioni di persone ci passano accanto ma tutti scompaiono alla mia vista e io ho occhi solo per te”

Nacque la vigilia di Natale Salvatore Antonio Guaragna (New York, 1893-Los Angeles, 1981),  figlio di un calzolaio calabrese (Cassano allo Ionio in provincia di Cosenza) che emigrò in America, inizialmente in Argentina quindi a Brooklyn. Di numerosa famiglia –erano 11 figli– i Guaragna cambiarono nome sulla storpiatura della pronuncia in dialetto calabrese e nacque così il cognome americanizzato in Warren. Completamente autodidatta, Harry Warren fu uno straordinario autore di canzoni (ne compose oltre 800) molte delle quali furono clamorosi successi popolari e numeri uno di classifiche internazionali molte delle quali fecero parte della colonna sonora di oltre 300 film. Basterebbe solo citare “You’ll never know”, “Chattanooga Choo-Choo”, “Lullabye of Broadway”, “At last”, “That’s amore”, “September in the rain”, “The more i see you”, “The boulevard of broken dreams”, “This heart of mine”, “There will never be another you” che hanno raccolto  nomination e premi Oscar arrivando freschissime fino ai nostri giorni.

Canzone molto amata da tutti, “I only have eyes for you” (tra le 25 canzoni più eseguite del XX°secolo) fu cantata per la prima volta da Dick Powell nel musical cinematografico “Dames” (“Abbasso le donne”) del 1934 a fianco di Ruby Keeler e con la magica regia di Busby Berkeley ma quella melodia venne rimaneggiata diverse volte in altre produzioni di Hollywood come “The woman in red” (“La signora in rosso”) del 1935 con Barbara Stanwyck  e Gene Raymond e la regia di Robert Florey;  “The girl from Jones Beach” (“La foglia di Eva”) del 1949 con Virginia Mayo e Ronald Reagan e la regia di Peter Godfrey; “My dream is yours” (“Musica per i tuoi sogni”) dello stesso anno con Doris Day e Jack Carson; “Jolson sings again” (“Non c’è passione più grande”), una produzione Columbia del 1949 con protagonista Al Jolson e la regia di Henry Levin; “Tea for two” (“Tè per due”) del 1950 con Doris Day e Gordon MacRae e la regia di David Butler.

Discograficamente la canzone fu eseguita inizialmente da orchestre jazz e nel 1934 furono ben tre le versioni che raggiunsero alti posti in classifica: l’orchestra di Eddy Duchin e la voce di Lew Sher, l’orchestra di Ben Selvin con la voce di Howard Phillips e infine la voce delle Zigfeld Follies, Jane Froman cui fece seguito una superba interpretazione di Coleman Hawkins (1944). Altro successo fu quello di Frank Sinatra con Ken Lane Singers nel 1949, Billy Eckstine che la incise nel 1949 seguito da Peggy Lee nel 1950 e Billie Holiday nel 1952. Il successo su tutti i fronti arrivò però nel 1959 con la versione rhythm’n’blues e doo-wop dei Flamingos che, nonostante la separazione tra bianchi e neri, riuscì a sbancare entrambi i mercati con un singolo da milioni di copie. La versione dei Flamingos fu inserita in grandi film di successo come “American graffiti” (1983), “Non dite a mamma che la baby sitter è morta” (1991) e “Papà ho trovato un amico” e “Bronx” (1993), “A.I. Artificial Intelligence” e “The others” (2001), “Tutto può succedere” (2003), “Grace di Monaco” (2014) per non dire delle decine di serie di telefilm americani e, per finire, al celebre spot della Pepsi Cola che utilizzò quella versione senza autorizzazione e, dopo una lunga causa terminata nel 2006, gli eredi dei Flamingos ottenevano dal tribunale un rimborso di 250.000 dollari per l’utilizzo. Ai Flamingos seguirono poi Dinah Washington (1949), Chris Connor (1961), Louis Armstrong, Ella Fitzgerald e Frank Sinatra con Count Basie (1962), i Lettermen (1966), Betty Carter (1969), Jerry Butler, Carmen McRae (1972), Rosemary Clooney con Perez Prado (1973), Benny Goodman,  Art Garfunkel che nel 1975 arrivò in testa alle classifiche inglesi con una sua versione appassionata. Ci furono poi Johnny Mathis (1976), Lester Bowie (1985), Abbey Lincoln (1989), George Benson (1990) con Count Basie per arrivare ai giorni nostri con i Mercury Rev (1998), Patti Austin (1999), Mark Eitzel degli American Music Club (2002), Rod Stewart (2003), Jamie Cullum (2005), Kurt Elling, Holly Cole e Mick Hucknall (2012).