di MASSIMO CONSORTI –
Ottant’anni fa le leggi razziali e l’Italia non fu, e non sarà, più la stessa. Quel clima di odio che pensavamo il tempo avesse attenuato, è invece ancora vivo e presente e, a oggi, c’è chi ne richiama l’attualità usando frasi e simboli che nulla dovrebbero avere ancora a che fare con la civiltà del nostro popolo. Cosa non si farebbe, letteralmente, per qualche voto in più. La cosa surreale, nel Paese delle grandi contraddizioni e dei machiavellismi spinti all’eccesso, è che i signori scienziati che firmarono le leggi razziali, praticamente il manifesto della razza made in Italy, sono stati onorati in tutti i modi possibili, compreso quello della intitolazione di piazze e vie a futura memoria.
A Roma, sulla Pontina, c’è ad esempio Via Edoardo Zavattari, un biologo e zoologo famoso per aver scritto: “Vi sono razze in cui le capacità intellettuali sono limitate e circoscritte…ve ne sono altre al contrario che hanno capacità intellettive sviluppate al massimo grado e come tali quindi sovrastano e dominano sulle prime. Appartengono alla prima categoria le razze di colore e in particolare le popolazioni africane…”. Rileggere le “intuizioni” del biologo italiano, se non fosse successo quello che è successo, significherebbe scompisciarsi dalle risate, purtroppo però, in molti non risero più.
Nel 2018, a ottant’anni da una delle pagine più nere (è il caso di dirlo) della nostra storia, la sindaca Virginia Raggi ha deciso di rinominare nella toponomastica della Capitale, tutte le vie intitolate ai firmatari delle leggi razziali e del Manifesto della razza. Incurante di eventuali assalti all’arma bianca dei “neri per sempre” o della lettura di messaggi farneticanti in pieno consiglio comunale, la Sindaca ha detto basta, troppo onore riservato a chi dovrebbe essere disprezzato. In fondo, deve aver pensato la Raggi, non occorre mantenere quei nomi in bella vista per essere memori di quello che è successo nel nostro Paese, anche perché la memoria si coltiva in altri modi, e quindi, meglio rimuoverli.
Anche perché, aggungiamo noi, con l’aria che tira non vorremmo che qualcuno, ai piedi della lapide, continuasse a lasciare mazzi di fiori.