Il disco della settimana, CousteauX – CousteauX

di PAOLO DE BERNARDIN –

Tre album in quasi 20 anni sono la cifra della discrezione di una band elegantissima guidata dal londinese Davey Ray Moor, polistrumentista, autore di tutto il materiale il quale oggi si affianca al solo Liam McKahey, cantante irlandese dotato di una vocalità molto intensa. A quindici anni da “Sirena”, loro ultimo lavoro, i CousteauX non hanno fatto altro che ridurre la formazione a semplice duo e aggiungendo una X al loro nome ufficiale come unico segno di cambiamento. Giocando tra francese e inglese il gruppo ha scelto la lettera finale non tanto per pluralizzare (non ci sarebbe stato nessun motivo) bensì per giocare con la stessa particella di Ex, a dimostrazione che il cambiamento è avvenuto nel tempo. Molto legati al nostro paese dove hanno avuto discreto successo i Cousteaux dimostrano nel tempo di non aver perduto affatto lo smalto che li contraddistingueva sempre in bilico tra scelte autoriali di grande stile evidenziate dallo splendido timbro vocale di McKahey e da preziosismi di arrangiamenti raffinatissimi che li proiettano a quel mondo un po’ dark, un po’ morboso e notturno che li avevano fatti apprezzare sin dai tempi del loro clamoroso successo di “The last good day of the year”. Una scuola di canto che rimanda alla densità sonora di David Bowie (basterebbe “Seasons of you”) e soprattutto del maestro vocale di quest’ultimo, Scott Walker. Non sono estranei nella vocalità di queste canzoni i colori di Nick Cave, Lou Reed, Tindersticks e Bryan Ferry e della tedesca Andrea Schneider. Alle atmosfere notturne si prestano le raffinatissime tessiture di tromba, dalla magnifica “Memory is a weapon”, brano di apertura e segno di identificazione dell’intero lavoro a “Burma”, sospesa nella dimensione Walker Brothers fino alla dense e modernamente classiche “Maybe you” e “Portobello serenade”per giungere al piccolo capolavoro di “Shelter”, in elegante atmosfera da Burt Bacharach con negli echi “This guy’s in love with you”. Un disco raro e prezioso che non smetterà di deludervi, ascolto dopo ascolto, spiazzando ogni nostalgia. La memoria è un’arma, cantano i CousteauX e nel loro disco più lirico, compatto, omogeneo e profondo in una lunga e intensa carriera costellata di sole tre gemme hanno saputo regalarci un mare di emozioni.

STANDARD
(La storia delle canzoni)

Dancing in the dark (Dietz-Schwartz) 1931

“Cercando un lumicino per un amore nuovo che possa illuminare questa notte,  io ho te, amore. Insieme affrontiamo la musica ballando stretti nel buio fino alla fine. Siamo qui insieme ed è una danza delle meraviglie. Il tempo fugge via. Siamo qui per un attimo e  poi scompariamo”.

Una carrozza arriva di sera a Central Park di New York. Scende una coppia che si ritrova in uno spiazzale dove un’ orchestrina suona e diverse coppie ballano. Per fuggire via dalla pazza folla i due si inoltrano nella boscaglia fino a trovare un’altra radura isolata dove nessuno possa vederli. Il sottofondo della loro onirica orchestra privata lancia un motivo sul quale inizia una danza che resta sogno purissimo, aria libera da respirare, piccoli voli, giochi di gambe e di passi, sorrisi, prese di mano, ammiccamenti. Sensualità pura espressa dalla sequenza più perfetta della storia del Musical americano diventata essa stessa simbolo di un genere che ha caratterizzato il palcoscenico di Broadway per tutto il Novecento. La perfezione formale delle movenze si deve esclusivamente ad una coppia magica e perfetta: Cyd Charisse (le gambe più mozzafiato di Broadway) e Fred Astaire, Tony e Gabrielle,  che sa conquistare anche lo spettatore più distratto. E’ un musical cinematografico del 1953, “The Band Wagon” (“Spettacolo di varietà”), una vero capolavoro per la regia di Vincente Minnelli, la coreografia di Michael Kidd e la produzione del mago Arthur Freed. Lo spettacolo però nasceva una ventina di anni prima. Aveva infatti debuttato al New Amsterdam Theatre di New York il 3 giugno del 1931. Non si trattava altro che di sketches scritti dal critico e umorista Georges Kaufman e realizzati per il palcoscenico da Howard Dietz mentre Arthur Schwartz aveva composto tutti i passi musicali. Arthur Schwartz (New York, 25 novembre 1900-New York, 3 settembre 1984) non avrebbe mai dovuto diventare un compositore per la forte opposizione della famiglia che desiderava ardentemente che diventasse un avvocato di grido. La sua passione per la musica lo spinse a non demordere. Nonostante avesse incontrato a poco più di 20 anni Lorenz Hart e nonostante i primi insuccessi in campo musicale, Schwartz esercitò il suo mestiere di avvocato ma continuò a comporre musica. Instaurò un profondo rapporto di amicizia con Howard Dietz e i due diedero iniziò ad una carriera che li fece trionfare. Dopo i primi passi incerti alla fine degli anni Venti il primo grande successo, “The Band Wagon” appunto la cui musica fu affidata al trombettista John Barker e la danza alla coppia di fratelli più famosa della storia, Alice e Fred Astaire. Durante la composizione del musical Schwartz senti l’esigenza di una canzone da inserire nello spettacolo che avesse una densità notturna e i cui caratteri si definissero in qualcosa di dark. Nacque così il magistrale tema musicale di “Dancing in the dark” che fu suonato dall’orchestra di Victor Salon, nel 1931 ma che esplose letteralmente 10 anni dopo in una magistrale esecuzione  del clarinettista Artie Shaw la cui incisione superò il milione di copie.

La trasposizione cinematografica di Hollywood del 1953 segnò poi la definitiva consacrazione di quella canzone che entrò nel repertorio di oltre un centinaio di interpreti da Fred Waring a Frank Sinatra, da Jo Stafford con gli Starlighters a Fred Astaire. Entrò nel repertorio di grandi orchestre come Victor Young, Tommy Dorsey, Morton Gould, Percy Faith, Jackie Gleason, Esquivel,  Henry Mancini, Ray Anthony, Andre Previn, di voci stratosferiche come quelle di Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Jane Morgan, Tony Bennett, Bing Crosby e dei Four Lads. Nel jazz più specifico divenne un grande cavallo di battaglia di Cannonball Adderley (magistrale la sue versione del 1958), di Sonny Clark, Bill Evans, Art Tatum e Chet Baker. Tra le versioni più curiose c’è da segnalarne una per arpa eseguita da Dorothy Ashby fino ad ad arrivare alle moderne versioni di Barry Manilow, le LA Voces con Supersax, e Diana Krall nel 2001. In Italia fu incisa da Fausto Papetti a metà dei Sessanta ma precedentemente era già stata incisa dall’orchestra di Lelio Luttazzi con la voce di Teddy Reno. Tra le curiosità da segnalare “Dancing in the dark” fu scelta dalla Rai come sigla della Domenica Sportiva nel 1954 mentre fu stranamente incisa in una versione lugubre ed estrema persino dalla greca Diamanda Galas.