di ROSITA SPINOZZI –
Ci sono storie talmente belle e, al tempo stesso complicate, da non sembrare reali. Invece lo sono, eccome. E fanno anche bene al cuore, perché ravvivano la speranza e dimostrano che, in fondo, l’amore è un sentimento talmente forte da superare ogni ostacolo per sopravvivere al di là dello spazio e del tempo. Da un punto di vista personale non ho mai avuto simpatia per le festività “comandate”, ma ogni anno nel giorno di San Valentino mi torna in mente una grande storia d’amore ambientata nella Ripatransone degli anni Cinquanta, che vede protagonisti Alberto Castelli e Antonietta Mellina, scomparsa nel 1999, con un “Cupido” d’eccezione rappresentato dall’Istituto Magistrale Mercantini. Alberto era un aitante ferraiolo di umili origini che suonava la tromba nella banda cittadina, senza nascondere una spiccata simpatia per le idee marxiste. Antonietta, invece, proveniva dalla ricca borghesia siciliana ed era giunta a Ripatransone dalla provincia di Messina per trasferirsi a casa della zia Giovanna Cortorillo, maestra del paese. Mezzosoprano, appassionata di lirica e orfana di madre fin dalla più tenera età, la ragazza aveva vissuto con la nonna mentre il padre era emigrato in Francia dove aveva formato un’altra famiglia. Le abitazioni dei due giovani erano poco distanti dall’istituto magistrale e la saetta di Cupido non tardò a scoccare, così il giorno in cui Antonietta cantò al Teatro “Luigi Mercantini” in occasione delle onoranze del conte Luciano Neroni, celebre basso ripano, iniziò la loro storia d’amore tenuta segreta per via della differenza sociale e politica delle due famiglie. Ma l’amore non è un sentimento facile da nascondere, e Antonietta venne subito “spedita” in Francia dal padre. Alberto raccolse tutti i suoi risparmi e il 23 dicembre 1952 raggiunse la bella siciliana, ma una volta arrivato a Valence la famiglia Mellina lo allontanò di nuovo, tolse il passaporto ad Antonietta e con esso il diritto all’eredità. Come oltrepassare la frontiera senza i documenti? Con la forza della verità che impietosì la polizia ferroviaria italiana, tanto da aiutare i due giovani innamorati a tornare in paese. Non fu un ritorno felice, perchè trovarono ad attenderli il parroco e le autorità chiamati dalla zia Giovanna, che aveva denunciato Alberto per sequestro di persona. A nulla valse sapere che Antonietta portava in grembo il suo primo figlio. Da qui una serie di peripezie che si prolungarono nel tempo, nuovi allontanamenti, minacce, fughe e persino la morte del bambino a poco più di un anno, ma nessuna vicissitudine riuscì a separare i due innamorati che si sposarono in un Duomo gremito di concittadini ripani accorsi per sostenerli. Il perdono di zia Giovanna arrivò solo tredici anni dopo, nel frattempo Antonietta aveva rinunciato alla carriera di cantante lirica per vivere felice accanto ad Alberto e alle loro tre figlie Giuditta, Giuseppina e Paola. Oggi resta solo Alberto, un vero signore d’altri tempi che, a distanza di anni, mi ha permesso di trasformare i suoi ricordi in una storia come ennesimo atto d’amore per la sua Antonietta. Ma anche per insegnare ai giovani che il vero amore è raro ma esiste, e va alimentato di giorno in giorno.