di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Quattro passi per il parco non si negano a nessuno. Chi non li fa? Beh, forse qualcuno c’è, a vedere certe facce e relativo cattivo umore. Ma tant’è, ognuno usa il tempo come meglio può. Ed io passeggio. Qualche settimana fa era il turno, casuale a dire il vero, di rivisitare la pineta. Quella grande, storica e adiacente l’isola pedonale, dove da ragazzo si tirava a far tardi con gli amici nelle sere estive. C’è chi fa andirivieni col pargoletto di pochi mesi, chi con il cane, qualcuno va in bici a far slalom tra i pini, qualche pensionato appisolato qua e là che non ci sono più i cantieri d’una volta dove sfogare la curiosità. Quel gusto strano che ho, lo sguardo antropologico sull’odierno, mi porta a soffermare l’attenzione su un nucleo familiare: nonna, mamma, bimbo di cinque anni, più o meno. Il piccolo ha una batteria in miniatura, probabilmente appena acquistata. L’appoggia su una panchina e giù a battere le bacchette da forsennato. Così, come capita, tanto per sentire il suono (beh, anche il rumore è un suono). Ed è felice, oh come è felice! Ride che non gli si può stare appresso, ride che è un contagio. Oddio, ecco che la memoria, la mia, apre i suoi cassetti più lontani, quelli dell’adolescente. Erano i miticissimi anni Sessanta, verso i Settanta. Tempo di complessi rock, di capelloni, figli dei fiori, miniabiti per le ragazze. E, naturalmente, erano gli anni dei pantaloni a zampa d’elefante. Chi non li aveva? Ed erano i tempi che un ragazzo sognava di essere parte di una band musicale. Quanti padri di famiglia erano costretti a tenere l’automobile fuori dal garage! Figliolo ed amici vi facevano base per le prove, con tutti gli strumenti ben posizionati. Rigorosamente, non potevano mancare batteria, chitarra elettrica, basso, organo elettronico. E ovviamente il microfono per il solista. L’amplificatore, le casse, e la pazienza (tanta) del vicinato andavano a completare il tutto. In quegli anni mi innamorai della batteria. A forza di girare per negozi, ne vedi una bellissima, d’occasione. Era di colore rosso giapponese, lucidissima e con un buon prezzo. L’ideale per le tasche della famiglia. E già sognavo di essere applaudito, ammirato dalle ragazze, riconosciuto per strada e cercato dai talent scout. A quell’età si era sognatori, incolpevolmente. Oh, come si sognava! Ed era tutta salute. Andai a casa, convinsi i miei e l’indomani andammo con entusiasmo, il mio, un po’ meno nella mamma. La batteria non c’era più. Venduta. Dio mio, che delusione e che sorriso in mia madre. Poi il tempo volò via. Eccomi nella pineta, con i ricordi, il bimbo che martella il suo giocattolo ed io che mi alzo di scatto, come folgorato sulla nuova Damasco, e torno in quel negozio che nel frattempo ha cambiato via. Senza pensarci troppo, vista una che mi piace e non dovendo più chiedere permessi e consensi, l’acquisto. Evviva le carte di credito!
Essendo una persona per bene che non vuole disturbare il prossimo, la faccio portare e posizionare nella vecchia casa di campagna. Per un po’ la guardo con timore reverenziale e poi, in maniche di camicia, giù a bacchettare da perdere la testa e sentire l’energia che risale per il sistema linfatico e va dritta a giocare con i neurotrasmettitori e a rivitalizzare i neuroni. I piatti vibrano che è una delizia sentirli (tanto li sento solo io) mentre si scompiglia l’immaginaria capigliatura da rockstar tra tamburi, percussioni e grancassa. Cos’è il piacere? Quello che so è che, dopo essere stato quaranta minuti lì ed esco fuori, sul giardino della casa, sudato come se avessi fatto una scalata in montagna, vedo il mondo in un altro modo. Quelle che prima erano nuvole che forse pioverà, ora sono l’espressione creativa della natura. Quel cretino che con la macchina quasi mi veniva addosso per la fretta, forse non è un cretino, magari aveva fretta davvero per qualche motivo. E quel pensiero fisso su un problema di lavoro: ma siamo davvero sicuri che è un problema? Ecco, tutto cambia. Tutto appare in una forma non più drammatica, tutto sfuma in uno sguardo compiaciuto. Mi siedo sulla panca, guardo i miei ulivi e quando avrò voglia tornerò a casa. Felice. Cari genitori, comprate una batteria ai vostri figli, lasciateli sfogare in modo sano. Se proprio abitate in una palazzina condominiale e non volete rischiare proteste e assalti rabbiosi, insonorizzate la stanza. E se la batteria risulterebbe ingombrante, fate una scelta diversa. Ma fateli sfogare. Abbiamo tutti avuto quindici anni e sappiamo cosa significa.