di AMERICO MARCONI –
Se c’è uno stato interiore, di gioia e pienezza duraturi, a cui tutti aspiriamo, al di là della mera emozione, esso porta il nome di felicità. Tra i filosofi dell’antica Grecia il più interessato alla felicità fu Epicuro, vissuto tra il quarto e il terzo secolo avanti Cristo. Nel suo giardino ad Atene raccomandava ai discepoli un tetra farmaco per vivere felici. Primo: vano è il timore degli dèi, che poco s’interessano alle sorti degli uomini. Secondo: insensata è la paura della morte, perché “quando noi siamo non c’è la morte, e quando c’è la morte allora non siamo più”. Terzo: il piacere è alla portata di tutti, basta accontentarsi di quello che si ha. Quarto: il male non sopportabile è di breve durata.
Intorno al 387 dopo Cristo Sant’Agostino è in Italia e si è appena convertito al Cristianesimo. Sta alle terme con un gruppo di amici e la madre Monica, quando scrive il dialogo La felicità. Lui che aveva avuto una moglie e un figlio, conoscitore dei piaceri e delle passioni umane, conclude senza incertezze: “Chi ha Dio è felice… ed ha la saggezza”. Anche Roberto Mancini, docente all’Università di Macerata, nel suo piccolo libro Obbedire solo alla felicità del 2014, raggiunge la stessa conclusione; spostando la ricerca della felicità da scopo personale ad autentico dono verso gli altri.
Lo psichiatra cognitivista francese Michel Lejoyeux nel metodo Nexting elenca dieci consigli per essere felici. Primo: ascoltare il meno possibile le brutte notizie. Secondo: non chiedersi il perché sia accaduto una cosa ma come fare per cambiarla. Terzo: combattere il più possibile la routine, il cervello tende per sua natura alla routine. Quarto: imparare a dimenticare i brutti ricordi. Quinto: Non rimanere bloccati dagli automatismi mentali. Sesto: non scusarsi troppo spesso. Settimo: mangiare pesce, ricco di Omega 3 che influiscono sul buonumore. Ottavo: l’amore psichico e fisico è un antidoto contro la tristezza. Nono: mostrare la gratitudine attraverso la gentilezza. Decimo: scrivere una lettera al partner in cui si indicano le tre cose di cui dobbiamo essergli grati.
Dalla Svezia arriva il Lagom, una parola svedese che significa moderazione, ed é uno stile di vita. Indica la giusta via di mezzo, in cui non si rinuncia a nulla di ciò che serve al benessere, ma senza abbandonarsi ad eccessi e inutili lussi. Questo stile di vita riguarda il lavoro, la propria casa, l’automobile, il modo di mangiare, di viaggiare. In Oriente fu il Buddha, nel VI secolo avanti Cristo, a identificare nel desiderio esagerato la causa del dolore e dell’infelicità, indicando una virtuosa via di mezzo.
La felicità insomma assomiglia alla vetta di una montagna e per raggiungerla, come insegna il Dalai Lama, occorre un metodo e una disciplina. Siamo pronti a partire per la più ambita delle vette?