di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
Il 6 aprile di nove anni fa un terremoto cambiava per sempre la vita di un’intera comunità, devastava L’Aquila, provocava 309 vittime, tra cui giovani che alloggiavano nella casa dello studente, ragazzi che della vita dovrebbero conoscere solamente le cose belle e positive, che dovrebbero avere l’opportunità di costruirsi un futuro migliore. Alle 3 e 32 di oggi la campana della Chiesa di Santa Maria del Suffragio ha reso loro omaggio con trecentonove rintocchi, mentre in migliaia hanno poi preso parte a una fiaccolata.
Ci sono tornata per lavoro di recente, ho ripercorso strade che speravo di trovare nuove, ho guardato intorno a me alla ricerca di case e monumenti. Il centro è ancora chiuso e ingombro di macerie, inagibile e pressoché disabitato, transennato e monitorato dai militari. Le casette della new town sono state costruite male e oggi cadono a pezzi, una dopo l’altra le famiglie hanno dovuto abbandonarle e la politica che una volta se ne vantava, oggi è impegnata nello scaricabarile delle responsabilità.
Ho incontrato Barbara, una mia amica e collega e mi sono permessa di affrontare l’argomento con lei, che quella notte maledetta ha perso la casa e perfino la macchina e si è ritrovata in strada a piedi scalzi coi bambini per mano, alla disperata ricerca di un posto dove sentirsi al sicuro.
«Ho saputo che il sindaco si è attivato per realizzare una sorta di luogo della memoria, un parco in piazzale Paoli» le ho detto, sperando che l’iniziativa le fosse in qualche modo di conforto. «Nessuno di noi ha dimenticato quella notte. Quel boato terribile, le grida disperate di aiuto, la sensazione di sprofondare sotto una terra che si faceva voragine e sembrava volerci inghiottire. Il nostro cuore si è spezzato».
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