di ROSITA SPINOZZI –
Ho sempre avuto simpatia per Gino Bartali, uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, che ci ha lasciato il 5 maggio di ben diciotto anni fa. Il “Ginettaccio”, uomo dal carattere burbero e schivo ma dal grande cuore, di cui ricordiamo non soltanto la straordinaria carriera in sella alla sua bicicletta, ma anche la storica rivalità con Fausto Coppi. Storie appassionanti di vittorie, sacrificio, amicizia mista a sana competizione, agonismo puro, aneddoti di un campione con “quel naso triste come una salita” come cantava Paolo Conte. Nato a Ponte a Ema, un piccolo centro toscano, Bartali aveva “fatto tappa” anche a Ripatransone – dove era stato ospite nella mitica “Cantina dell’Arte” di Arnaldo Angellotti che tuttora conserva appesa alle pareti una foto autografata del campione – e nel 1992 aveva inviato una lettera alla redazione dell’Helios Festival di Giuditta Castelli, in cui incoraggiava i ragazzi alle sane virtù dello sport e, soprattutto, ad andare in bicicletta. «Ho percorso in bicicletta circa 600 mila Km e ho sofferto tanto freddo, pioggia e tempeste di neve sui passi dolomitici e sulle Alpi – così scriveva Bartali – Tanto caldo sotto il sole, su strade roventi che facevano lacrimare gli occhi. Era il ciclismo di altri tempi con tappe anche di 3000 e passa Km sulle strade “eroiche” di allora. I “poeti” raccontavano le nostra gesta con poesia e canzoni immaginarie perché sui passi, solo i pastori potevano vedere i girini passare. Ho fatto tante cadute e ho sofferto anche atrocemente ma non sono pentito. Se fossi giovane lo rifarei ancora. Ecco perché vi dico con piacere e con tanta simpatia: “Ragazzi, andate in bicicletta”». Ma Gino Bartali, nella sua immensa umiltà, omise di raccontare che tra il 1943 e il 1944 salvò la vita di 800 ebrei. E lo fece portando a compimento la sua missione più importante: intraprese il percorso da Firenze ad Assisi e ritorno con nascosti sotto il telaio della sua bicicletta documenti falsificati da consegnare agli ebrei fiorentini per salvarli dalle deportazioni naziste. Una “staffetta” che gli richiese l’allora cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa. Bartali sapeva benissimo di correre un grande rischio, ma il suo buon cuore sapeva di fare la cosa giusta. Non ebbe mai esitazioni e non rese mai pubblico il suo nobile gesto perché il suo “motto” era: Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Un uomo veramente d’altri tempi, un eroe silenzioso, campione non solo sulla strada ma anche nella vita. Ed è così che, soltanto dopo la sua morte, il presidente Carlo Azeglio Ciampi gli conferì nel 2006 la medaglia d’oro per la sua attività durante la guerra. Dopo il tardivo riconoscimento, nel 2013 Gino Bartali è stato nominato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, dove ci sono anche i nomi di quanti ebbero il coraggio di dire no alla barbarie nazista. Inoltre pochi giorni fa, esattamente il 2 maggio, Bartali è stato nominato cittadino onorario postumo di Israele. Una onorificenza consegnata da Avner Shalev, presidente dello Yad Vashem, a Gioia Bartali, nipote di “Ginettaccio”. «Il popolo e lo Stato di Israele ricorderanno sempre Gino Bartali campione di sport e campione nella vita» ha affermato Shalev nel corso della cerimonia a due giorni di distanza dalla partenza del 101° Giro d’Italia da Gerusalemme, proprio in onore del campione italiano «Un uomo eccezionale che ha saputo andare contro una maggioranza che non lo ha sostenuto». Bartali era un uomo di pace e, come ha ricordato l’ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti “non ha rinunciato a fare del mondo un posto migliore”. Ed è proprio una “pedalata della pace” quella che, il 4 maggio, i ciclisti della squadra israeliana hanno compiuto all’interno di Yad Vashem fino ad arrivare al muro che contiene i nomi dei “Giusti tra le nazioni”. Perché ciò che siamo stati è inciso sul percorso della memoria, e Bartali resterà per tutti noi un grande campione di umanità.
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