Cinquant’anni dal ’68, la rivoluzione incompiuta

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

“…Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano …”
Cantava così Francesco Guccini in Dio è morto e cantavano così i ragazzi con l’eskimo e la tracolla, soprattutto negli ambienti universitari ma non solo. Il ’68 nacque come movimento che doveva cambiare il mondo, sembrava un ’onda inarrestabile, tale da travolgere tutti gli ambienti, gli standard dell’epoca, le convinzioni, la politica, le istituzioni. Doveva portare a cambiamenti sostanziali ma tutto considerato, fatta eccezione per alcune derive che presero in seguito strade deviate, l’unica rivoluzione fu culturale, incidendo negli usi e costumi, in una diversa percezione della “forma”.
Ripercorriamone a grandi linee la storia, per vedere, soprattutto, com’era prima e cosa sarà dopo. E cosa resta oggi di quel mito che sa di leggenda, con molti a dire “io c’ero”. Ciò che oggi definiamo il movimento del ’68, prende nome dai fatti del maggio 1968, soprattutto in Francia, partendo dalle rivolte universitarie alla Sorbona e nel quartiere Latino, coinvolgendo le masse operarie, e che si estendono rapidamente in Europa e oltreoceano. In realtà, la fenomenologia riguarda un periodo più vasto e raggruppa tutti i movimenti giovanili che si riconoscono in un bisogno di cambiamento e rinnovamento, in contrapposizione al passato.
Il punto di partenza, di questo periodo esteso, è nei campus americani, agli inizi degli anni ’60, per il riconoscimento dei diritti civili delle minoranze e contro la guerra in Vietnam. É nella fase del pacifismo che ha origine uno dei movimenti più prorompenti tra i giovani, quello degli hippy (o figli dei fiori) che oggi vengono ricordati più per l’abbigliamento e gli atteggiamenti che per le ideologie: pantaloni a zampa d’elefante, larghe e coloratissime camicie, gonne lunghe ai piedi per le donne o, al contrario, cortissime verso la fine del decennio. Capelli lunghi per tutti, libertà sessuale senza censure, vita in comunità. Chi non ricorda il grande concerto di Woodstock? Il festival che di fatto fu un immenso raduno della cultura hippy.
In Italia ci fu di tutto e di più. Dai fenomeni di costume all’impegno politicizzato, in particolare ebbe un notevole impulso il femminismo. Dagli hippy alle rivolte studentesche, dalle sommosse operaie alle barricate. Da alcune frange estreme nasceranno in seguito altri gruppi che in parte sfoceranno nel terrorismo. Ma questa è un’altra storia, ci interessa soffermarci al fenomeno culturale del ’68 e al suo contesto: cosa accadeva intorno, nel cinema, nel mondo musicale e letterario.
Sembra strano che siano passati 50 anni, ma un film cult che ha cambiato la cinematografia dando un nuovo paradigma è esattamente di quel periodo. Stiamo parlando di 2001: Odissea nello spazio, Il capolavoro di Stanley Kubrick. Qualche mese prima era uscito Il laureato con un giovanissimo Dustin Hoffman. Nel ’68 esce anche C’era una volta il West di Sergio Leone. Film, questi, che sono qualcosa di più che capolavori, rappresentano nuovi linguaggi e nuovi modi di vedere una narrazione, in piena sintonia con quel bisogno di fuggire da un formalismo preconfezionato.
Non dimentichiamo che le famiglie rispecchiavano ancora un modello patriarcale dai ruoli inderogabili ed erano abituate in Italia ad una televisione in bianco e nero (quando ce l’avevano) con pochissimi canali: fino al 1960 un solo canale, il secondo arriva nel 1961 e il terzo canale addirittura alle porte degli anni ’80. Le trasmissioni a colori solo nel 1977. Il contrasto con un cinema innovativo era fortissimo. Gradualmente anche in campo televisivo inizierà una piccola rivoluzione: i privati si inseriranno con programmi trasmessi via cavo, a livello locale.
In campo musicale, la rottura con il passato passa attraverso i Beatles, i Rolling Stones, i Pink Floyd. In Italia con la PFM, i New Trolls, le Orme e una infinità di complessi del genere beat e soprattutto una lunga lista di cantautori impegnati: De Andrè, Guccini, Gaber, Paoli, Tenco, Bindi. L’elenco completo è molto più lungo.
Nella letteratura, tornano gli autori della beat generation: Jack Kerouac e il poeta Allen Ginsberg. In Italia abbiamo, tra tanti altri, Dario Fo’ e Balestrini. In alternativa a tutto c’è un lucidissimo Pier Paolo Pasolini.
Abbiamo fatto una breve e incompleta descrizione del periodo e ci rendiamo conto che quello che definiamo ’68, se lo vediamo senza soffermarci al fenomeno studentesco, è stato un periodo oltremodo fervido, ricco di innovazione, che ha realmente cambiato il secolo scorso, togliendogli quella patina di grigio, quel formalismo appesantito di provincialismo. Negli anni successivi, mentre le femministe fanno i falò con i reggiseni, gli uomini iniziano a riporre le cravatte nei cassetti e a trovar gusto nell’indossare i jeans anche dietro una scrivania o uno sportello bancario.

Copyright©2018 Il Graffio, riproduzione riservata