di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
A sipario chiuso, il proscenio assume un fascino particolare. Mentre le persone arrivano per lo spettacolo, scegliendo il loro posto, in un clima piacevole di attesa, in una predisposizione al divertimento, oltre, l’atmosfera è altra. Oltre il sipario, come fosse un separé tra mondi paralleli, gli attori vivono l’attesa in un crescendo emotivo. É così anche al Centro Pacetti di Monteprandone, era così anche qualche giorno fa, per il debutto e per la replica de “Gli Sposi Promessi” di Eugenia Brega e Paolo Clementi. Man mano che gli attori arrivano nell’area camerino, adiacente al palcoscenico, verificano lo spazio disponibile, controllano gli abiti di scena, li mettono in ordine di utilizzo. Li provano, appurano che non ci siano difetti, li guardano. Sì, l’attore e l’attrice guardano l’abito come fosse esso stesso “il personaggio”, come se da quei tessuti possa venir fuori la forza, la determinazione al ruolo, l’aderenza alla personalità da interpretare.
Qualcuno stempera la tensione andando a fumare sul giardino, altri parlano tra loro. Si prova a scherzare, si raccontano aneddoti sugli spettacoli precedenti, sul proprio lavoro, sugli hobby. Ogni tanto c’è chi sbircia oltre il pesante tendaggio per vedere quale affluenza sta componendo il pubblico. Poi, quasi furtivamente, un po’ tutti prendono il copione in mano, vengono ripassate le parti più impegnative. Io non sono da meno. Però mi piace anche osservare. Osservo l’atmosfera, l’emotività, la bellezza dell’essere umano quando non è in competizione ma vive la partecipazione. Il segreto non è essere più bravo di un altro ma essere bravo insieme all’altro, all’altra. Lo spettacolo vive di questo sinergismo, la buona riuscita necessita di collaborazione, sentirsi all’unisono. Ci si aiuta, ci si incoraggia. Qua e là si formano gruppetti che “riprovano” ancora una volta, ed un’altra ancora.
E poi arriva il momento in cui qualcuno ci dice “state pronti, manca poco”. E difatti il teatro è pieno. É un fermento di voci, un brulichio di movimenti, di spostamenti tra le fila delle poltroncine, di saluti, selfie, abbracci, sorrisi e risate. E noi di là, con gli ultimi dubbi su questa o quella parte, quel dialogo che conosciamo bene ma c’è sempre il timore di un’amnesia improvvisa e inopportuna. Ricontrolliamo gli oggetti che a luci spente, tra una scena e l’altra, andranno posizionati all’interno del palco. Tutto è posto, tutto è pronto. Anche noi.
Oltre il sipario, dietro le quinte c’è quel qualcosa che il pubblico non vede e non conosce ma che rappresenta , per noi, quell’insieme di emozioni senza le quali forse non esisterebbe l’arte della recitazione. In pochi metri quadrati, un gruppetto di persone deve fare i conti con se stesso, con ciò che è, con le aspettative, con la propria visione delle cose, con il proprio modo di affrontare timori ed ansie. Poi, ecco, siamo già sul “pezzo”. Si fa il classico rito scaramantico e non c’è più tempo per dubbi e insicurezze. Non ci possono essere ripensamenti. Il sipario si apre, le luci invadono la ribalta e tutto il palco. Siamo “dentro”, con quel pizzico di irrealtà, di straniamento dal quotidiano. Intravvediamo il pubblico come una sagoma che ci dà la misura delle cose.
Ogni suo applauso, ogni espressione di assenso ripaga le fatiche e la stanchezza. Ma no, quale stanchezza! É già un ricordo. È nel passato. Il bagno emotivo che il pubblico regala è un vero elisir di fiducia. Mentre i compagni sono sul palco, gli altri si apprestano alle scene successive, ma non in semplice attesa. La vita del camerino non ha pause, non ha soste. Nel continuo andirivieni tra chi sale e chi scende, c’è molto da fare: c’è da cambiarsi l’abito, c’è da aiutare chi ha cambi ravvicinati, c’è da predisporre parti della scenografia, c’è da incoraggiare, ci si dà la tempistica. Ci si predispone.
Il tempo vola, una parte dopo l’altra, un applauso dopo l’altro, con qualche piccolo e inevitabile e spesso invisibile errore siamo già alla fine. Ci guardiamo: tutto è andato liscio. Lo spettacolo ha funzionato. A breve ci sarà il bagno di folla, ci disperderemo tra conoscenti che si congratulano, saremo tra amici, parenti e sconosciuti, con gli abiti di scena e con tutto il nostro sudore. Dopo un po’ torneremo di là, in quel piccolo spazio che ha rappresentato l’habitat emotivo, per cambiarci e riporre in ordine gli abiti dei personaggi. Si incroceranno gli occhi dei colleghi. Ed un sorriso sincero colorerà ogni viso. É fatta, è andata bene. Il teatro è una magia che si rinnova.
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