di ALCEO LUCIDI –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un anno interminabile di perdite sui mercati finanziari, di aste di titoli sovrani italiani (BOT, BTP) andate (quasi) deserte da parte degli investitori internazionali, di una clima geopolitico tutto volto all’instabilità, con l’asse franco-tedesco a farla da padrona (si ricordi l’attacco militare in Libia) e il deterioramento del contesto europeo senza una vera politica estera, sempre più in balia delle oscillanti ed opposte posizioni russe ed americane. È questo il quadro inquietante del 2011, tracciato da Roberto Napoletano, nel suo corposo libro Il Cigno nero e il Cavaliere bianco (La Nave di Teseo), presentato sabato 7 luglio presso l’affascinante scenario di Piazza Sacconi a San Benedetto, nell’ambito delle attività della rassegna “Incontri con l’autore” giunta alla XXXVII edizione.
Napoletano, nel momento in cui scrive, è ancora alla guida del prestigioso quotidiano economico-finanziario di Milano Il sole 24 ore (lo è rimasto fino allo scorso anno) e vede il nostro paese sull’orlo di un baratro, in parte riconducibile alle croniche lentezze burocratiche e istituzionali di una nazione impreparata ad affrontare una crisi mondiale di enormi proporzioni e in parte sostanziato da una serie di eventi esterni (come il fallimento di colossi bancari – vedi “Lehman Brothers” in America – o l’esplosione dei mutui subprime, i cosiddetti titoli finanziari “tossici”) che hanno rischiato di far vacillare gli indicatori macroeconomici italiani e di ingrossare pericolosamente un debito pubblico già rovinoso – il terzo al mondo – di oltre duemila miliardi di euro.
Lo shock finanziario prodottosi in quell’annus horribilis, per dirla con il titolo d un libro di Giorgio Bocca del 2009, si trasmette ben presto all’economia reale, in termini di perdita di punti di PIL (il Italia oltre il 9%), di crisi occupazionali, di chiusure aziendali, senza trovare precedenti nella storia repubblicana. In effetti, per rintracciare una tempesta perfetta sui mercati di tale portata, bisogna risalire alla Grande Depressione del ’29, partita sempre dagli Stati Uniti, con conseguenze terribili in termini economici e sociali.
«La debolezza della politica italiana poi – afferma Napoletano – non ha aiutato a frenare una decrescita che ha portato una ventata di deflazione e una calo verticale dei consumi, alimentati anche dall’allora presidente della Banca Centrale Europea, il patriota francese Trichet, capace solo di rialzare i tassi di interesse e di deprimere ulteriormente la domanda, per poi aiutare con prestiti miliardari le banche francesi, soprattutto Paris-Bas».
Abbiamo avuto bisogno del “Cigno bianco”, citato nel titolo (ovvero il successivo governatore Mario Draghi), con una massiccia immissione di liquidità, il riacquisto di pezzi del debito sovrano degli Stati europei in maggiore difficoltà (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda) ed una politica monetaria espansiva, perché il resoconto dettagliato di Napoletano, redatto in uno stile sciolto, comprensibile ai più, non si trasformasse nella presa d’atto di un default generalizzato.
«È un libro potente – afferma Filippo Massacci che affiancava Napoletano – scritto bene e avvincente come un romanzo o un thriller». Un libro che «direttamente o indirettamente riguarda tutti noi pur parlando di altri». Lo scrittore, in effetti, incontra i maggiori protagonisti istituzionali internazionali in gioco nella crisi (Prodi, Draghi, Trichet, Ciampi, Padoa-Schioppa, Visco, Renzi, Weidmann) e raccomanda di non lasciare soli gli uomini dello Stato che, anche in passato, come ad esempio nel 1992, si sono battuti in Italia per evitare la bancarotta, servendo nobilmente il nostro paese (Baffi, Messina e, in precedenza, Pescatore, Vannoni, Bernabei) senza i quali, per altro, non saremmo tra i setti paesi più industrializzati al mondo.
Nonostante un paese allo stremo nel 2011, con la crisi di un pezzo, seppur piccolo, del sistema bancario (meno dell’1% della raccolta del credito), ma di grandi risparmiatori (un partita di bilancio da oltre 4 miliardi euro), fiaccato da una disoccupazione impressionante («un giovane su due è senza lavoro»), la chiusura di «decine di aziende manifatturiere», «l’insieme dei prelievi fiscali e contributivi che gravano sulle imprese […] arrivato alla quota record del 68,3% (contro il 30 circa della Gran Bretagna) e il costo dell’inefficienza della macchina pubblica e della sua burocrazia […] stimata in 73 miliardi l’anno», l’Italia – non dimentichiamolo – è riuscita a risalire la china ed invertire la rotta, nel volgere tra l’altro di poco tempo, riducendo le perdite dei correntisti con massicce iniezioni di liquidità e prestiti-ponte dal Tesoro, dietro garanzia di istituiti di credito solidi, per rilevare le cosiddette bad banks ed i crediti deteriorati, mantenendo la bilancia commerciale in attivo con un surplus in termini di esportazioni di oltre il 30%, poggiando su un tessuto economico ed imprenditoriale e finanziario in grado di reggere all’urto dei minacciosi tentativi di scalata francesi (vedi il caso di Vivendi su Telecom), senza mai cedere ai capziosi bail-in avanzati dalla Troika e dalla signora Christine Lagarde, che evidentemente voleva renderci più vulnerabili e ricattabili come la povera Grecia.
Napoletano dice la sua ma lo fa – come giustamente sottolinea Filippo nella sua introduzione – senza prendere posizione, «senza fare critiche e neanche sconti, senza puntare il dito», perché l’intento del grande giornalista è stato quello, per sua stessa ammissione, non di scrivere l’ennesimo saggio, ma di spiegare, in forma chiara e dettagliata, le ragioni intrinseche ed estrinseche che hanno portato l’Italia a confrontarsi con il Cigno Nero, una congiuntura polito-economico-finanziaria senza precedenti, che potrebbe anche ripetersi se non sapremo dimostrare, soprattutto in campo internazionale, di essere quel Paese dalle forti tradizioni industriali e culturali che ha saputo rialzarsi, pur se tra tanti limiti e difficoltà – primo tra tutti il difetto di memoria – per rimettersi in moto con ingegno e generosità.
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