di AMERICO MARCONI –
Nell’Appennino centrale c’è una catena montuosa chiamata Sibillini. Catena che prende il nome dal monte Sibilla e dalla sua grotta, dove abitava la veggente Sibilla. Eppure Sibilla, o meglio il suo mito, viene da lontano. In particolare dal santuario greco di Delfi, sulle pendici del monte Parnaso, sacro al dio Apollo. Lo stesso Apollo si pronunciava per bocca di Pizia, una giovane vergine, che vaticinava seduta su un tripode, masticando foglie di lauro. Dopo Pizia fu la volta della casta Sibilla chiamata Delfica. Lei scriveva i responsi sulle foglie che sparpagliandosi al vento rendevano il messaggio incomprensibile. Da Delfi il suo culto fu trasferito a Cuma nell’VIII secolo a.C. dai colonizzatori greci. I romani tennero in grande considerazione la Sibilla Cumana e i suoi libri. Tanto che il poeta Virgilio, nel VI libro dell’Eneide, la fa essere guida di Enea nell’Ade.
La Sibilla Appenninica ha una storia a sé, molto stratificata. Innanzi tutto è legata al monte Sibilla. La montagna è chiusa in alto da una cinta rocciosa dai riflessi sanguigni detta Corona, con sopra una caverna. C’è chi sostiene che la vecchia Sibilla da Cuma, sdegnata per la perdita dell’antico prestigio dopo l’avvento del Cristianesimo, si fosse trasferita nella grotta. Altri, Domenico Falzetti in particolare, che tale figura fosse la risultante di Nemesi, Nortia e Fortuna divinità legate alla fortuna e al destino. Il filologo belga Fernand Desonay era convinto che la corona di rocce e la presenza di acque conducessero a un antico culto di Cibele, la dea della montagna.
Nel tardo Medioevo la Sibilla nella sua grotta subì una trasformazione: oltre a profetessa era diventata maga. E cercava, con l’aiuto delle sue ancelle, di sedurre i visitatori e farli restare per sempre nella sua corte. Se ciò fosse avvenuto il malcapitato non sarebbe più potuto uscire, vivendo sì nel paradiso dei sensi ma guadagnando alla fine del mondo le pene dell’Inferno. Andrea da Barberino, nella sua fantasia poetica, nel 1410 narrò le gesta del Guerrino detto il Meschino. Cavaliere mosso dal bisogno di conoscere i suoi genitori, tra mille peripezie, sale il monte, scende nella caverna, resiste alle tentazioni della maga Sibilla che per questo non gli rivela i natali. Dopo un anno esce, va a Roma per chiedere ed ottenere il perdono papale. Nella realtà storica il cavaliere crociato Antoine de La Sale giunse nel 1420 a Montemonaco. Salì il monte Sibilla e visitò la stanza d’ingresso della caverna, dove incise le sue iniziali. Raccolse storie di persone che ci erano andate e trascrisse a mano ogni fatto Nel Regno della Regina Sibilla.
È ora di andare sulla Sibilla. Raggiungiamo Montemonaco, percorriamo la strada bianca che sale il fianco del monte fino al Rifugio Sibilla, ora chiuso. Da qui a piedi puntiamo alla cresta dove conviene riposare un attimo e ammirare il panorama mozzafiato. Seguiamo la cresta est nord est verso la corona che supereremo aiutati da una fune metallica. Poco dopo saremo su una zona di massi franati che è tutto ciò che rimane della grotta. Se cerchiamo con attenzione troveremo l’incisione sulla roccia AV·P·1378, scoperta dalla spedizione voluta da Falzetti e Desonay nel 1953. All’appassionato basterà quella scritta per far nascere l’esigenza di una ricerca più attenta e il desiderio forte di tornare quanto prima. Con la certezza che nel cuore di tutti la Sibilla, col suo desiderio di amore e conoscenza, è viva più che mai.
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