di ALCEO LUCIDI –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Tira sempre vento in Piazza Sacconi. La serata di ieri, domenica 5 agosto, non faceva eccezione. Sembrava pennellata per un incontro, vibrante di emozioni, dove due scrittori – uno storico locale, Don Vincenzo Catani, autore di un importante volume, tra gli altri, sulla Chiesa Truentina – e Mariapia Veladiano – dirigente scolastico, vicentina, una sessantenne con una vita spesa nella scuola e dietro la figura del pastore luterano Dietrich Bonhoeffer (si laurea in Filosofia e Teologia con due tesi sull’intellettuale tedesco, impiccato dai nazisti il 9 aprile 1945) – si sono confrontati sull’immagine di Maria. Lo spunto – più di uno spunto in realtà – era dato dal libro pluriangolare della Veladiano – Lei (Guanda) –, alla quarta ristampa nel volgere di pochi mesi, sulla donna più raffigurata, discussa, amata dell’intera storia dell’umanità: Maria.
Cosa attrae di Maria e, soprattutto, cosa può ancora dirci ancora la madre di Gesù Cristo? Come dice Mariapia, questo è innanzitutto un romanzo, non tanto e non solo, su una discreta presenza nella vita del Cristo, ricca di fede, ma su una “creatura umana, una madre come tante”, che ha saputo aprirsi ad un annuncio che l’avrebbe proiettata oltre un comune destino. Eppure, nel libro questa predestinata, venuta da Nazareth, in Galilea, la più distante delle provincie romane, in uno dei territori più infidi ed angusti, più sediziosi verso il potere di Roma, è una donna paurosa, indecisa, piena di attenzioni per il figlio. “Chiede di lui in continuazione a chi lo conosce; domanda della sua salute”: insomma si piega teneramente sul frutto del suo amore.
È – facendo eco alle suggestive, taglienti affermazioni di Don Vicenzo, che riprende alcuni dei più significativi passi del libro lasciando che sprigionino tutto il loro potere evocativo, la loro pregnanza letteraria – come “creta molle nelle mani di Dio. Una creta in cui Dio entra con le dita fino a formarla secondo il suo disegno”. Una donna con il suo mistero. Una donna che è tutte le donne del mondo (“Sono una donna corale. Un’opera collettiva senza il nome degli autori segnato sul fondo” è il bellissimo incipit del libro che riecheggia l’attacco del “Moby Dick di Melville: “Chiamatemi Ismaele”).
A dispetto delle donne del sepolcro (Marta e Maria di Magdala) o degli uomini del Sinedrio, Maria non viene citata nella “Passione” del “Figlio”, nell’agonia riscattata, lavata dal perdono. Eppure, nonostante sia nominata solo sei volte nei vangeli sinottici, è una figura-chiave di tutta la storia della Rivelazione, perché racchiude la misura incommensurabile di un Dio che si fa uomo. L’abbandono, quasi inconsapevole, di Maria all’angelo, tra apprensione e dolcezza, così bene rappresentata da Lorenzo Lotto nel quadro esposto alla Pinacoteca Civica di Recanti, richiamato in copertina, dove una giovanissima Madonna, piena di sgomento, ha già gli occhi levati al cielo, è tutta nelle pagine di un libro “carico di poesia” – chiosa Don Catani. Non a caso il romanzo è intervallato da poesie: un dramma sacro medievale con in più i tratti umani della Madonna, del suo unico figlio e di Giuseppe.
La Veladiano ci tiene a mettere in risalto il carattere mansueto, caritatevole del falegname, che non ripudia la moglie e, come Maria, concede il suo “sì” incondizionato. Nel mondo arcaico in cui due vivono, dove una donna ripudiata era simile ad un paria e rischiava la lapidazione, Giuseppe è stato l’uomo del destino, il padre che si piega al disegno di Dio come Maria, nella “circolarità dell’amore donato”. Così anche nella Gerusalemme del Tempio, dei traffici, dell’egoismo fattosi insensibilità e durezza, il miracolo della misericordia si compie perché, come si legge sulla copertina del libro, “questa è una storia troppo immensa perché tutto possa andare perduto”.
Tra le tante suggestioni provenienti dal testo mi vengono alla mente anche la musica e le strofe iniziali di una canzone d’amore di Charles Aznavour intitolata proprio Lei: “Lei, forse sarà la prima che / io non potrò dimenticar, / la mia fortuna o il prezzo che dovrò pagar, / Lei, la canzone nata qui, / che ha già cantato chissà chi, / l’aria d’estate che ora c’è, / nel primo autunno su di me”.
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