“La voce della pietra”, un romanzo e un film di grande fascino

di GIUSEPPE FEDELI * –

“La strada per l’illuminazione non è fatta di cose complicate, ma solo di momenti di pura coscienza. Se tu sarai cosciente di cosa stai facendo ogni momento della tua giornata starai già facendo tutto ciò che devi per raggiungere l’illuminazione”- detto Zen

Come annota lo studioso Carlo Cesare Montani nell’incipit di un suo interessante studio, ” Il suggestivo rapporto della pietra con lo spirito ricorre nella letteratura italiana, e non soltanto in questa -un esempio illustre mutuabile dalla poesia tedesca è quello di Goethe, che nelle Elegie Romane pose in evidenza che il marmo si deve ammirare, ma che si può anche «ascoltare», come gli accadeva in occasione delle sue passeggiate nei Fori, quando le pietre gli parlavano delle antiche glorie e dei loro eroi – con ragguardevole ed autorevole frequenza, quasi a sottolinearne il carattere peculiare ed universale.

Basti ricordare, fra i tanti esempi, quello di Ugo Foscolo, quando nel suo celebre carme evoca Vittorio Alfieri che si ispirava ai marmi di Santa Croce in onore dei grandi Italiani del passato, traendone gli auspici per «egregie cose» di significativa valenza risorgimentale; o quando rammenta con una punta di nostalgia romantica la statua di Venere che l’amica aveva posto a presidio degli «arcani lari» dove il poeta, e soltanto lui, poteva ammirarla come «sacerdotessa» della dea.Non meno immaginifica fu la definizione del marmo quale «sostanza delle forme eterne» data da Gabriele d’Annunzio, con riferimento alla sua natura di «carne delle statue chiare» ma nello stesso tempo, al suo ruolo di materia prima, protagonista indispensabile delle grandi creazioni architettoniche”.

Anche nella Divina Commedia la pietra riveste un carattere di particolare importanza: simbolo di duro ammonimento e di spietata condanna alla vista delle pene che patiscono i dannati dell’inferno, il sommo poeta diventa di pietra. Così, nel Purgatorio Dante viene colpito dalla sorte riservata agli orgogliosi, costretti a portare giganteschi massi come castigo ai loro peccati: ne è  specchio la permanente solitudine dell’Alighieri, condannato all’esilio. Costante di alto valore poetico, e prima ancora, etico, la pietra diventa nell’opera dantesca metafora in chiave “antropologica” della superiorità dello spirito rispetto alle cose della terra.

Silvio Raffo componeva “La voce della pietra” nel 1996, romanzo di grande fascino e finezza letteraria che avrebbe avuto maggior fortuna nella riedizione del 2018, trasposta, pur con delle variazioni, l’anno prima sul grande schermo.

A seguito del trauma per la prematura morte della mamma, il giovane Jacob si chiude in un mutismo elettivo. La paziente e diuturna auscultazione dell’ansito della pietra è l’unico “canale” di comunicazione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni. Ma in questa atmosfera di visionarismo delirante, affianca l’esercizio quotidiano di ascolto della “voce” di Malvina, la Colomba – sepolta sotto una lastra di marmo nel giardino delle Ortensie – l’opera non meno ardua e sovrannaturale di scrittura su un quaderno dei momenti essenziali della giornata; in particolare, Jacob registra le “mosse”, sin da subito percepite come insidiose,  volte ad espugnare la Roccaforte del silenzio del Serpente (Verena), donna votata al martirio e alla autodistruzione, venuta “alla Rocciosa” per tentare di strappare agli artigli del destino la esistenza dell’adolescente.

In questo connubio di vita e morte, che prende forma in un crescendo di tensione sovraumana nelle schermaglie studiatamente “ostili” dei protagonisti  , mentre nel romanzo è  Thanatos a trionfare – in una sorta di catarsi liberatoria e rinascente-, nel film lo spirito di Malvina, impossessatosi di Verena, alla fine esce dal ventre della pietra in cui è imprigionato per ef-fondersi in lei, a  rinsaldare un legame mai sciolto, nel quale la figura della mamma si reincarna in quella della giovane e bella assistente. Si invera così il motto latino “in orto et morte vitae coniuncuntur”: la pietra è simbolo di continuità,custode della memoria  – tradita dalla parola “parlata” – e del “passaggio”.

*Avvocato, Giudice di Pace di Fermo

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