di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Quando mi chiedono l’età, quasi sempre l’aumento. Un po’ come a dire «Ormai! Non gioco più: a voi il mondo, le sue illusioni, le sue delusioni. Me ne sto nella grotta mentale, in un eremitaggio di fantasia che non crolla neanche nella bolgia di una festa, come un palombaro che resta ben isolato in un ambiente che non è il suo». In realtà, pressoché sempre, il pensiero va ai miei 24 anni, l’età in cui, filosoficamente parlando, ancora soggiorno e forse continuerò ad abitarvi a lungo. Segretamente. Ricordo quel periodo. Quando avevo quell’età, quasi non la sentivo. Era come indossare un abito, di quelli artigianali che venivano cuciti dal sarto praticamente addosso alla persona: su misura. Si andava da lui, nel suo piccolo laboratorio, e con il metro morbido ti “definiva” in lungo e in largo e poi ci tornavi almeno un paio di volte. Indossavi il pantalone, o la giacca, più raramente la camicia, che erano semplicemente “imbastiti”.
Dovevi stare attento agli spilli che sapientemente Luigi (chiamiamolo così) metteva qua e là prima di dirti «Ci siamo, torna giovedì che trovi tutto pronto». Così funzionava, quando avevo quell’età. Era il vero Made in Italy a chilometro quasi zero. E quello che ti mettevi addosso era davvero tuo. Avevi condiviso la scelta del tessuto, la forma, le modifiche, le personalizzazioni. Mentre ti specchiavi per la prova, c’era un dialogo, c’era un “vedersi” e un “sentirsi”.
Ventiquattro anni: è da un pezzo che non sei più adolescente. Te lo dicono in tanti, lo senti, lo percepisci. Ma c’è qualcosa che ancora non ti fa sentire adulto. Sei in una terra intermedia, cammini sul ponte che ha molte sponde possibili. Hai il richiamo della prateria e il fascino della frontiera. Ti affascinano le megalopoli e i borghi di antiche cittadine medievali. Vorresti andare lontano, su confini che senti misteriosi, ma torni sul pianerottolo familiare. Senti pensieri originali che si affacciano alla coscienza, potenzialità da capire e sviluppare. Senti l’unicità che sei ma che ha bisogno di strumenti, di conoscenza, di sperimentazione. C’è un tutto e un nulla, così vicini tra loro, così speculari che ti spaventano. Il sole ed il buio, anche nell’umore, anche nell’amore.
Ecco cosa significano ventiquattro anni: hai tutto davanti e sai che camminerai su territori inesplorati. C’è la bellezza e il timore che prova il pittore davanti alla tela bianca. Sa bene, l’artista, che quel “40×50” potrà essere il dipinto della sua vita ma anche, forse, il suo peggior quadro. I pennelli sono gli stessi, come la tavolozza e i tubetti dei suoi amati colori. Sa che l’unica differenza è in lui. Soltanto in lui. Non contano le interferenze esterne. Quando è nel suo studio, egli ha un rapporto unico con se stesso. Non c’è altro: solo il “mestiere” e saper elaborare una “visione interiore”. Ecco cosa sono i ventiquattro anni.
L’arte del vivere viene affinata man mano, se hai una visione e quest’ultima, a sua volta, si modella sulle competenze che maturano. È un lavoro sottile di sintonia e sinergia che non ha termine. Non può avere termine. È una continua lettura di sé e di ciò che “è”, di interazione con il mondo intorno. Quel mondo che a volte riesci a vedere anche nel semplice volteggiare di una foglia in una sera d’autunno. E sai, intuisci, che prima che la foglia tocchi terra, un po’ più in là, quando la spinta del vento avrà terminato la sua funzione, tu avrai avuto un’ispirazione, il germe di un’idea, una nuova luce ad illuminare un viottolo da seguire. Non potrai sapere se lo seguirai a lungo o per un tratto breve ma scoprirai che ti aprirà nuovi percorsi, modificando la linea dell’orizzonte.
Tutto questo significa avere ventiquattro anni, la mia età interiore. Ma a chi me lo chiederà, continuerò a mostrare, con un tocco di bonaria fierezza, la mia barba bianca.
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