di GIUSEPPE FEDELI –
L’amore ti artiglia il cuore, te lo strappa. L’amore non è dicibile, puoi solo viverlo, fin quando non scoppia, immortalandosi. Il 27 gennaio si onora la Giornata della memoria (Shoah): tante immagini, terrificanti, pensose, la memoria corre a quegli anni in cui il senno era uscito da sé, crescendo viepiù nel sacrificio (Olocausto) della vita, del pensiero, della dignità. Dell’essere uomini di-versi. Obiettivo puntato sull’ex campo di concentramento di Servigliano: i sommersi e i salvati, i sopravvissuti che hanno raccontato il buio di una storia vera quanto assurda. Da interviste via etere le più varie, inebetiti ascoltiamo storie, increduli guardiamo immagini che hanno lasciato dietro di sé macerie, solo macerie: chi, schiavo di una lucida follia, ha voluto scientificamente la morte, corteggiandola, blandendola, ha anche voluto, alla fine (vergogna? banalità del male?) cancellarne ogni traccia. Solo qualche misero rudere è ancora lì, a testimoniare l’ignominia. «Ricordo quella volta che venimmo deportati in un campo di sterminio… mia sorella era stupenda, capelli biondi occhi chiari corpo flessuoso… nel giro di un mese arrivò a pesare una trentina di chili, non era riconoscibile, le avevano rasato i capelli… me e mio padre ci avevano messo insieme, mentre lei stava nel campo posto a confine… un giorno riuscii, accostandomi alla recinzione, a intravedere la sagoma di un volto familiare… era proprio lei!… ci riconoscemmo… lo dissi a mio padre che però si rifiutò di vederla, perché il cuore non gli avrebbe retto. Allora lui mi disse: prendi questa fetta di pane -razione quotidiana di 125 grammi- e portala a lei, così che ne mangi due porzioni. Io, rischiando la vita, esaudii il suo desiderio, il cuore che batteva all’impazzata, l’emozione incontenibile… mi avvicinai, da lei separato da quella maledetta rete di filo spinato. Ma ella – una parvenza di donna, che però non aveva perso il suo stile e la sua femminilità- declinò. La prese e in un involto mise la sua razione di pane insieme a quella di mio padre, perché la dessi a lui». Storie scritte su tutti i muri di tutti i palazzi di tutte le case dirute o luccicanti del pianeta, nessuno potrà mai obliarle come nessuno potrà mai cancellare le orme di un abominio. A suggello una frase, dura e affilata come punta di diamante: “la pena più grande è stata però quella di essere sopravvissuto”. Di quel padre che, per amore, non volle più rivedere la figlia.
Giuseppe Fedeli – Avvocato, Giudice di Pace di Fermo
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