“Il mare, il ritorno”: l’avventura dell’uomo nelle sculture di Paolo Annibali

di ENRICA LOGGI –

Nella luce crepuscolare del porto, davanti alle barche che sostano cullate dall’acqua ferma creando un’atmosfera irreale, dove si leggono le parole del lavoro e della speranza, delle partenze e dei ritorni, di storie prossime e lontane, appare in tutta la sua dolcezza e trasparenza il monumento di Paolo Annibali, “Il mare, il ritorno”, dedicato ai caduti e ai dispersi in mare.
Di fronte alle pagine della tragedia, le delicate figure bronzee testimoniano l’avventura dell’uomo come un simbolo di durevolezza, di tenacia quando non di eroismo. Rispetto all’immensità dell’acqua marina, esse sono piccole come reliquie, ci narrano di se stesse e dei tanti che sono appartenuti a queste acque, uomini dalle fattezze ruvide e allo stesso tempo gentili come lumi votivi.
L’atmosfera che questi simulacri creano è strettamente legata alla storia di chi cerca il mare come un’altra terra, da affidare a chi conosce la quotidiana ventura delle onde, i pensieri legati alla fatica e al ritorno a terra dove il porto è un’altra anima, un pensiero ideale, una visione che tempra i corpi delle filiformi statue che continuamente attendono anch’esse chi ritorna, chi ha scritto sul volto e sulla veste la pagina ideale della sua storia, e resta ad aspettare noi che facciamo parte di questa vicenda su un altro versante. Restano umili e grandi ad avvincerci a questo trasfigurato panorama, col linguaggio dell’arte che cuce il vestito della vita, sincero, tattile e immaginario nella sua energia e nella sua delicatezza.
Mi soffermo a guardare il gruppo bronzeo che ritrae il marinaio e la sua sposa, nell’attesa che veste la loro umile e potente esistenza, sagomando creature appartenenti allo stesso destino, a una forte e gentile umanità, dove lo sguardo è rivolto a quel futuro che trova nel mare la domanda e la risposta. Sono corpi come plasmati dalla salsedine, dalla forza che li lega alla promessa di un amore che giunge d’improvviso, come l’ala di un gabbiano, come un eterno sì pronunciato a bassa voce.
E allo stesso modo le altre statue, ciascuna con un simbolo che custodisce l’alfabeto della memoria, la dedizione di chi ha promesso il ritorno, ma nel frattempo si specchia nelle onde che lo Scultore plasma una per una, in un dettato volutamente elementare, come una voce dialettale che parte dall’insieme del monumento e fortemente si sprigiona, sotto un cielo di perla che traduce il movimento e la stasi, il passato e l’avvenire.
Torno qui ed ogni volta quelle immagini mi donano un pensiero, l’incipit di un sogno che il mare riporta a terra, nell’avventura e il continuo intreccio delle onde di una vita.

Enrica Loggi
Foto di Roberto Tamburrini

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