Cecco d’Ascoli e “Il nome della rosa”

di AMERICO MARCONI –

Sono note le lodevoli iniziative ad Ascoli Piceno per il 750° anno della nascita di Francesco Stabili, nato nel 1269 e conosciuto come Cecco d’Ascoli. Conferenze, mostre, opere di teatro e l’inaugurazione della sua statua bronzea. Ma in pochi hanno notato che il romanzo “Il nome della rosa” di Umberto Eco, riproposto di recente in televisione, inizia esattamente due mesi dopo che Cecco venne arso vivo. A significare che l’ambiente politico e religioso con i suoi intrighi e lati bui, descritto nel romanzo, è lo stesso in cui visse e morì l’Ascolano. Cecco d’Ascoli fu medico, filosofo, astrologo e insegnava con successo all’Università di Bologna. Correva l’anno 1324 quando cadde sotto le attenzioni dell’inquisitore Lamberto da Cingoli (nel “nome della rosa” l’inquisitore è il temuto Bernardo Gui). L’anno dopo gli vennero sequestrati i suoi libri e proibito di continuare a dissertare dinanzi agli allievi.

Nel 1326 si trasferì a Firenze, medico e consigliere di Carlo d’Angiò duca di Calabria, stipendiato con tre once d’argento al mese. A Firenze si determinarono gli eventi che furono alla base della sua rovina. Predisse a Giovanna, figlia di Carlo, un futuro libidinoso, che puntuale negli anni successivi si attuò. Oltre a consigliare al duca un immobilismo militare alla discesa in Italia del re Ludovico il Bavaro. Imperatore che sosteneva lo scisma francescano, schieratosi contro il papa Giovanni XXII. Papa avignonese, appoggiato dalla casata d’Angiò, in apparenza nemico di tutti i colpevoli di stregoneria e magia; ma in realtà lui stesso “infame usurpatore simoniaco ed eresiarca” a dirla con Eco.

La trappola era pronta. Cecco fu imprigionato a Firenze nel luglio 1327 e gli inquisitori dimostrarono che, oltre a medico e astrologo, fosse un mago occultista. Tra le colpe anche quella di essere salito al Lago di Pilato, nei monti Sibillini, per ottenere il Libro del Comando e poter compiere ogni sorta di prodigio. Non ebbe scampo: fu condannato a morte. Il 16 settembre del 1327, di pomeriggio, lo condussero nei pressi di Porta Santa Croce all’Arno dove gli furono tagliate le vene della fronte e arso al rogo.

Del grande Ascolano ci rimane “L’Acerba” in cinque libri, il suo capolavoro incompiuto. Cecco scrisse le ultime pagine nelle buie carceri di Santa Croce. “L’Acerba” è un’opera complessa; in cui l’uomo è posto al centro dell’universo, sotto di lui la terra e gli elementi, sopra di lui le stelle e i pianeti. Sottili attrazioni creano corrispondenze tra gli eventi terreni e quelli celesti. Il poema rappresenta un grandioso tentativo, tipico del Medio Evo, di sistemare e trovare spiegazione ad ogni fenomeno. Al Libro I scrive: «Principio d’ogni ben è conoscenza». Bastino queste parole per capire la grandezza e la modernità di Francesco Stabili. Scienziato ante litteram che pagò con la vita la sua libertà di pensiero. Contro il dogmatismo e l’oscurantismo da sempre dominanti.

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