di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Da bambino, il giorno successivo la Pasqua era largamente atteso. D’accordo, tutto il periodo delle vacanze scolastiche pasquali era atteso, ma la “Pasquetta” era probabilmente il giorno più desiderato perché era la giornata dedicata alla scampagnata con i genitori, quando l’età era quella delle scuole dell’obbligo, e con gli amici dopo. Non che non avesse il suo fascino il giro delle sette chiese. Anzi! Piaceva moltissimo il giovedì santo andare a vedere nel dopo cena l’arte di addobbare gli altari con grazia e semplicità o con estro, fantasia, senso scenico. E l’aroma d’incenso! Ancora sento l’odore di quel mix particolarissimo di resine ed erbe aromatiche che sembrano la natura stessa della spiritualità. Si, ricordo con affetto nostalgico il giro delle chiese nelle varie parrocchie cittadine, ma vuoi mettere il Lunedì dell’Angelo? Per un bambino era qualcosa che superava perfino l’Epifania. Sperando nel bel tempo. Sennò, dove vai? Da dove parte la tradizione?
Intanto ricordiamo che è una festa religiosa. Stando agli scritti evangelici, tre donne, tra le quali Maria di Magdala, conosciuta come Maria Maddalena, si recano presso il sepolcro di Gesù con gli unguenti ed oli aromatici. La storia è nota: il sepolcro era aperto e dentro non c’era nessuno se non, probabilmente, qualche telo. Allo stupore della sorpresa del tutto inaspettata si aggiunge qualcosa di più sorprendente: alle spaventate signore appare un angelo. Spiega loro che il Cristo è risorto e che è inutile stare lì. Dovranno piuttosto informare gli Apostoli ed iniziare a raccontare la sua storia ovunque si possa. È l’inizio dell’evangelizzazione e di quello che verrà chiamato Cristianesimo. La Chiesa celebra quella rappresentazione il giorno dopo Pasqua, il Lunedì dell’Angelo, appunto.
Ma si sa, ad ogni importante festa religiosa corrispondono tradizioni ed usanze più “terrene”. Alla Pasquetta si va in gita. Si va fuori porta, in campagna, in un borgo antico, o anche oltre, fuori regione. Una miriade di ricordi si affacciano tutti insieme e di certo sono simili a quelli di tante persone. Il picnic sull’erba vicino alle gole dell’Infernaccio, dopo aver camminato per un po’, o sul Monte dell’Ascensione, o a San Marco, ad esempio. La cosa buffa, sempre riscontrata, era il vedere famigliole che si fermavano appena vedevano uno slargo vicino alla strada e, senza preoccuparsi di cercare qualcosa di meritevole da vedere e contemplare, si fermavano lì, quasi viandanti ormai troppo stanchi. Apparecchiavano, tiravano fuori dalla stracarica automobile ogni sorta di cibo e bevande e, del tutto indifferenti agli scarichi dei mezzi stradali e agli sguardi talvolta allibiti, mangiavano con soddisfazione. Mai capito perché non avessero voglia di cercare un bel posto che spesso era a soli due chilometri oltre, dove avrebbero trovato un bel prato, spazio per far giocare a pallone i ragazzini (e i loro padri).
E chi non ricorda la volta che, partiti con il sole, si tornava bagnati da improvviso acquazzone? O, peggio, quando le mamme lasciavano sulla coperta i viveri incustoditi per andare dietro a pargoletti impetuosi e già presi dal fascino della fuga, e ci ritrovavi colonie di formiche o allegri cagnolini altrui che avevano appena fatto una rapida degustazione. Talvolta, quest’ultima ipotesi, era l’occasione per nuove amicizie. Non sempre però.
E così, festa che torna, tradizione che resta ma temiamo che qualcosa sia cambiato e quel piacere genuino e semplice dell’allegra e spensierata gita forse ha subito metamorfosi. Ma ci vuol poco per interpretarla ancora, magari mettendo da parte per qualche ora tablet e smartphone, cercando di capire se è ancora piacevole il sole sul viso, la leggera brezza pomeridiana, il sottofondo festaiolo di bimbi in libera uscita.
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