L’altra storia di Cecco d’Ascoli

di AMERICO MARCONI –

Correva la notte del 20 settembre dell’anno 1327. Una carrozza procede spedita nella strada verso Bibbiena, in Toscana. I due bianchi cavalli intravedono la via grazie alla luna piena e all’esperienza accumulata, tante sono le volte che l’hanno percorsa. Ma di colpo un comando deciso del cocchiere li costringe ad arrestarsi. Appena in tempo prima di travolgere due ombre scure, vicine, che fanno cenni di fermarsi. Solo allora il conduttore si avvede che i due hanno una lanterna. Da uomo prudente, abituato alle incertezze del cammino, domanda a voce alta: «Che volete?» già sfiorando la corta spada nel fodero. «Vi prego, aiutateci, nostro figlio sta morendo. Forse è stato morso da qualche bestia velenosa… Abbiate pietà!» supplica in lacrime la donna. A quella richiesta disperata la porta della carrozza si apre e scende un uomo incappucciato che chiede con voce ferma:«Portatemi da vostro figlio».

Si avviano lungo un viottolo e poco distante raggiungono una casa modesta con accanto una rimessa. Dentro c’è un ragazzo sui tredici anni, steso su un pagliericcio, in preda alla febbre alta. Ha il volto rosso con l’espressione di chi sta patendo dolori lancinanti. Accenna al polpaccio sinistro che ha scoperto. L’uomo prende la lanterna e l’avvicina per vedere meglio. La zona è gonfia con in mezzo una piccola ferita. Si capisce che è stata lavata da poco con il latte. A quel punto trae da tasca una bacchetta color d’oro. Vi soffia sopra tre volte. La verga brilla di luce verde ad una estremità e rossa all’altra. Con l’estremità verde tocca la fronte del malato, con la rossa la zona della ferita, da cui fuoriesce un po’ di sangue nerastro. Nel giro di pochi secondi il ragazzo sorride debolmente. L’uomo lo accarezza affettuoso e il giovane si addormenta tranquillo.

«Domani lavate la gamba con acqua e sale, non più con latte» consiglia ed esce. I due premurosi lo riaccompagnano alla carrozza e al commiato vorrebbero baciargli le mani, le vesti. Lui cerca di liberarsi e, a quei movimenti, gli cade all’indietro il cappuccio. La luce della lanterna rischiara il suo volto e i due esclamano: «Maestro Cecco! Ma allora siete ancora vivo!».

Per la storia scritta, che anche noi raccontammo, Cecco d’Ascoli era stato condannato e arso al rogo il 16 settembre del 1327, cioè quattro giorni prima a Firenze. Ma per quella narrata a voce, sopravvisse alle fiamme. Comparendo di tanto in tanto, come la prima volta a Bibbiena, sempre per soccorrere persone in grave pericolo. Quando l’11 luglio 2016 sui social comparve la foto dell’inequivocabile profilo di Cecco, nella proiezione delle nubi sulle Piane di Castelluccio, qualcuno ricordò le apparizioni del Maestro. E pensò che era tornato per aiutare e avvertire. Ma aiutare chi e avvertire su che cosa? Dopo poco più di un mese sopraggiunse il disastroso terremoto.

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