di ALCEO LUCIDI –
RUBRICA “DRITTO E ROVESCIO”
Le recenti immagini sulla drammatica condizione dei profughi continuano ad interrogare profondamente le coscienze di tutti. Ora, prese le distanze da ogni esortazione fine a se stessa, dalle incarnazioni dei più duri ed intransigenti approcci di salvaguardia delle prerogative nazionali, dalle chiusure e preclusioni dettate dal vento soffiato sulle braci degli etnocentrismi più spinti, è più che mai venuto il momento di indignarsi e di sentirsi parte di un’unica specie: quella umana. Se vogliamo un mondo più giusto dobbiamo lavarci gli occhi e le orecchie incrostati dalle falsificazioni ideologiche e politiche; abbandonare un senso di accidia che ci porta lontano dai problemi, sottraendo insieme l’humus alla(e) ragione(i) di chi cerca di ingigantirli con arguzia (le immigrazioni in questo ultimi tempi – ricordo – sono aumentate e non diminuite a testimonianza che i muri respingenti nulla possono contro un fenomeno epocale).
La prima arma, contro le distrazioni di massa e, certo, anche contro la mancanza di una politica europea delle migrazioni, è la cultura e l’istruzione. Intanto, cominciamo ad imparare alle nuove generazioni il diritto all’inclusione e al riconoscimento delle diversità, al pluralismo culturale. Su questo tronco vanno poi innestati i rami della convivenza sociale, che deve basarsi su un insieme di regole chiare, di meccanismi di ripartizione dei flussi e di accesso ai servizi sanitari e sociali di base (oltre che sulle istanze di accesso al mondo del lavoro senza entrare in conflitto, in tempi di crisi economica, con le aspettative delle popolazioni autoctone). L’immigrazione è un fenomeno sfaccettato che deve vedere l’Italia – storicamente terra di emigrazione – in prima linea nell’accoglienza, ma non da sola. Il contributo dato dalle associazioni di volontariato, dalle Onlus e dalle Ong, impegnate a salvare quante più vite umane possibili, nel Mediterraneo come nelle altre aree calde del pianeta, compreso il confine militarmente presidiato tra Stati Uniti e Messico, non è purtroppo sufficiente. Come al solito, le istituzioni internazionali, troppo spesso inerti, le politiche interne ed estere degli Stati Nazionali o degli enti sovranazionali rivestono un ruolo fondamentale.
Non bastano dei muri oppure una nave a cui viene testardamente, con tanta arroganza e disumanità, proibito di entrare nel nostro Paese a risolvere il problema. Sono degli accordi più seri di cooperazione con le nazioni mediorientali ed africane da cui provengono le masse di disperati in fuga da guerre, carestie, siccità, persecuzioni. Giova una politica strutturata e ragionata, sulle immigrazioni, che in Italia manca da anni, da potere discutere nell’Europa delle cancellerie e delle burocrazie, obbligando i nostri partner ad un salto di qualità, ad una seria presa di posizione nei confronti di coloro che fingono di ignorare, o non vogliono prendere in carico fino in fondo, il nodo della convivenza multietnica, come se non li riguardasse, e che in futuro, al contrario, impegnerà i governi a rivedere drasticamente le agende politiche. Ignorando le conseguenze incalcolabili dei protezionismi e degli squilibri geo-politici in atto, del sovvertimenti climatici, di questa nuova e potente ventata di intolleranza xenofoba alimentata dall’indifferenza e anche, diciamolo, dalla stanchezza, di comunità troppo spesso lasciate sole a fronteggiare i nuovi sbarchi, il mondo si condanna a degli scenari ambientali, politici, economici, sociali, di imprevedibile pericolosità.
La bambina e il papà salvadoregni morti nell’attraversare il Rio Grande nel maledetto confine tra Stati Uniti e Messico ci aiuti a riflettere, ancora una volta, su tali scenari e sulle tante vittime delle migrazioni. Loro, nell’immensa agonia, sofferenza, mostruosa disperazione e terrore di un padre che abbraccia la figlia nell’ultimo, strenuo tentativo di sottrarla alla morte, sono già salvi. Noi, invece, ben lontani dall’essere assolti, restiamo nella vergogna di impunite attese.
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