di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Tra le tante, ci sono due frasi di Leonardo da Vinci che, per motivi diversi, mi hanno sorpreso e coinvolto, anche emotivamente. Ricordo bene un episodio, da ragazzo. Dopo aver visto uno sceneggiato sul Maestro, vado per librerie a cercare qualcosa che mi parlasse di lui. Tra libri divulgativi e saggi dall’aspetto accademico, tengo tra le mani per un po’, come a voler tastare anche il contenuto, un piccolo libro-atlante. Ci sono molte pagine a colori con i suoi dipinti e i suoi disegni. E testi, non tantissimi, ma quanto basta per respirare l’essenza di una vita unica, non necessariamente esemplare, ma unica.
Leggo che nel Trattato della Pittura Leonardo aveva scritto: «E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo». Ad un ragazzino, il senso pieno della frase può sfuggire, ma non può “fuggire”. Mi entra, e dopo tanti anni eccola qui, torna a galla mentre lavoro su un dipinto che verrà intitolato Opera N.173. Mentre sono tra matite e pennelli, colle e forbici per tagliare gli elementi che serviranno, la frase ondeggia tra un pensiero e l’altro. E una spiegazione arriva, come arrivano a volte le intuizioni, giocando a seguire il delicato volteggiare di una foglia al vento, prima che plani sul marciapiede. Solo se perfettamente “centrato” in sé, l’artista, ma anche il pensatore, l’inventore, il ricercatore, sarà in grado di svelare il mistero, portare la luce della conoscenza nel buio dell’ignoto. Solo ascoltando tutti i propri sensi, l’Uomo resta connesso nel mutamento ed è in grado di afferrare l’antica memoria, aggiornandola nella tecnologia che cresce su se stessa, non negando le radici delle origini.
Ecco, questa è l’interpretazione che dò alla frase e che, d’incanto, mi sembra empaticamente vicina all’opera in fase di elaborazione. Il dipinto “strappa” il velo su un’immagine di sapore preistorico che non resta isolata. In qualche modo vive nel futuro che verrà, quella modernità che sarebbe diversa senza l’enorme contributo del maestro di Vinci che ha saputo interpretare al meglio, sviluppandoli, i segni di un fervido Rinascimento, gettando nel divenire infiniti ponti ed ancoraggi.
E poi, l’altra frase, letta di recente e che mi ha piacevolmente stordito, per la sua eleganza, la bellezza estetica del testo e per quell’innegabile suggestione che evoca con una sorta di mistero che le galleggia intorno: «Quando camminerete sulla terra, dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare». Potremmo mai, oggi, pensare ad una definizione su qualcosa che non c’è e che – forse – esisterà tra qualche secolo? Al suo tempo, 500 cento anni fa, non solo non esisteva il volo, ma, nella normalità del pensiero, non esisteva neanche l’idea che potesse accadere. Eppure, in lui, era talmente viva quella prospettiva da “sentire” il rimpianto del cielo, una volta atterrati: «… e là vorrete tornare».
Quanta forza c’è in questa visione lucida? Potrebbe mai esistere un azzardo scientifico, un ponte sul domani, senza una viva creatività visionaria? L’aereo, nella prospettiva del quadro, in un certo senso esce dal buco nero preistorico (le radici non muoiono mai). Chi ha duramente lavorato, ha costruito le basi che persone di genio sapranno sviluppare. L’aereo sta come planando verso l’aeroporto, sorvolando mare e paesaggio dove sono visibili i “segni” di Leonardo. Ritagli dei suoi disegni vanno a definire onde e colline, nuvole e palazzi. Le tracce del Genio sono ovunque. Non c’è futuro senza un presente. Non c’è l’oggi senza quel tipo di ieri. E ieri si chiama Leonardo Da Vinci, il ragazzino cresciuto nella bottega del Verrocchio, tra matite e pennelli, scherzando con i suoi compagni d’avventura. Una lunga e affascinante avventura umana nel ritmo della storia.
Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata