È autistico, i genitori lo abbandonano. Riflettiamo…

di GIUSEPPE FEDELI –

È balzato subito agli onori della cronaca il fatto del ragazzo autistico undicenne abbandonato dai genitori e affidato al Tribunale dei Minori. É accaduto a Trento. E tutti, chi più chi meno, hanno commentato la vicenda mettendo sale e pepe nella dose a ciascuno più confacente. Sì, a caldo tutti abbiamo tranciato un giudizio. Ma ognuno deve fare retromarcia, e specchiarsi nell’altro, per essere onesto con se stesso prima che con con il resto del mondo; e chiedersi per quale ragione questa famiglia ha abbandonato un figlio che la società non vuole. Forse perché i genitori sono cattivi? Forse perché questo fanciullo era un ingombro? Pur non conoscendo per ovvi motivi i perché di questa decisione, tuttavia non penso sia così.

Da genitore di un ragazzo autistico, so quale sia la fatica – non soltanto fisica- di tutti i giorni, l’impegno che si porta avanti attimo dopo attimo come un pesante ma glorioso trofeo, nella indifferenza totale – o quasi – delle istituzioni, e di chi è  chiamato a dare un aiuto e a fornire risposte. Questa famiglia probabilmente non avrà avuto nessun appoggio, nessuna ora di educativa, niente di niente: abbandonata a se stessa. Io so cosa significhi la presa di distanza di parenti, di persone con cui ci si illude(va) di coltivare un rapporto di amicizia. Perché il “male”, secondo la visione miope del mediocre, viene sempre scansato, con la patetica scusa che il diverso fa paura, e non si riesce ad affrontatre il problema nella maniera adeguata. Così illudendosi di esorcizzarne il fantasma.

E così si resta soli, dentro una solitudine cosmica, che nessun medicamento potrà mai lenire. Chi potrà mai capire i laceranti percorsi esistenziali, il domandarsi col fiato corto: ce la farò? Cosa sarà di mio figlio quando non sarò più in grado di guidarne i passi? Domande che qualcuno ritiene assurde perché “è tutto nella norma”, e così deve essere, per giustificare la paura (rectius: la infingardaggine) degli altri. E allora ti senti dire da qualche “illuminato”: qual è il problema? D’altronde anche gli altri padri fanno altrettanto con i loro figli. Risposta liofilizzata per tacitare la propria coscienza e salvare la bella faccia di persone troppo vicine per non vedere. E che girano la faccia o, chissà mai perché, ogni volta che ti incrociano sono sempre impegnate in una appassionata conversazione  telefonica.

E allora, prima di ergersi a giudici, chiediamoci perché questa famiglia è stata spinta a un gesto estremo. O per pudore silenziamo la bocca. Chi non vive questa esperienza non sa, insisto, cosa significhi giorno per giorno farsi carico della vita di ragazzi che, con una locuzione aberrante, sono definiti diversamente abili, e che la società non vuole perché non è pronta ad accogliere le loro domande, perché è imbolsita nei suoi falsi miti, perché è intrisa di perbenismo. E etichetta queste anime come “i matti” per liquidare la questione. E no, signori miei: la verità è che questi “figli di un Dio minore” ti guardano dentro e ti inducono a pensare, a guardare lo spaventoso abisso che è dentro ogni anima. E oggi pensare è esercizio pericoloso perché destabilizzante. Questa è la verità, per amara e spaventosa che sia. E per fortuna che esistono i “diversi”, a “macchiare” un mondo grigio e ignavo.

Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata