di REDAZIONE –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Mons.Carlo Bresciani, Vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, esprime in una lettera le sue riflessioni sui giovani di oggi e sulle loro fragilità. Di seguito riportiamo le sue parole.
«Leggo i giornali. Li sfoglio con interesse, soprattutto il sabato e la domenica mattina. Voglio capire cosa capita nel mondo attorno a me, come vive la gente e cosa pensa. È sempre un momento che vivo con attenzione, si parla infatti di persone e di luoghi che mi interessano. Sempre più, però, mi trovo ad affrontare una domanda che mi sorge spontanea e imperiosa, soprattutto, dicevo il sabato e la domenica: che cosa sta avvenendo dei nostri ragazzi?
Che ragazzi e giovani cerchino momenti di divertimento, che cerchino luoghi dove potersi incontrare, non è una novità. Credo che sia così fin dall’inizio dei tempi. Lentamente la notte si è sostituita alla sera: anche questa non è una novità, anche se degli ultimi tempi. Che dove ragazzi e giovani si incontrano non sia proprio un luogo di religioso silenzio, solo i sordi hanno potuto crederlo. Ormai il silenzio non lo si tiene più nemmeno in chiesa. Tutto questo l’ho sempre saputo e non mi meraviglia troppo che anche oggi sia così.
Allora perché quella domanda: che cosa sta avvenendo dei nostri ragazzi? Perché leggo di giovanissimi che sono andati in coma etilico e a ore della notte (o, meglio, del mattino) in cui ragazzi di quella età dovrebbero essere a dormire da molto tempo o quanto meno a casa. Perché leggo di minorenni che hanno perso la vita in incidenti stradali alle quattro o alle cinque del mattino. Perché leggo di minorenni strafatti che vagabondano alle prime ore del mattino per le strade della città. Perché leggo di bande di minorenni che compiono reati gravi contro le persone.
Leggo cose di questo genere e non riesco a prendermela con i ragazzi, anzi sento una profonda tenerezza per loro. Sento di non condividere a pieno chi se la prende con loro: penso che sbaglino il bersaglio; penso che, tutto sommato, sparino sulle vittime che stanno già pagando un prezzo altissimo.
Penso, invece, che quello che sta avvenendo sia che questi ragazzi vengono sempre più abbandonati a se stessi e che, tutto sommato, faccia comodo che sia così. Fa comodo a chi li sfrutta commercialmente, in fondo certe movide rendono economicamente. Fa comodo alle famiglie che non devono affrontare le fatiche di dire dei no (e a volte so che è tutt’altro che facile). E fa comodo a molti altri che invece di lavoro, offrono loro solo l’illusione di un divertimento in cui affogare la coscienza di essere abbandonati e soli ad affrontare la vita.
Ma a pagarne il prezzo sono innanzitutto loro: i ragazzi. Lasciarli a se stessi non è un atto di amore: è rinunciare alla fatica di aiutarli a generare un adulto dalla loro esuberante giovinezza. E un essere umano è adulto quando è stato aiutato a porsi dei limiti e ha superato quella specie di delirio di onnipotenza che è proprio dell’adolescente.
Ecco penso che quello che è sotto i nostri occhi sia una società di adulti, sempre più centrati su se stessi e sui propri interessi e sempre meno capaci di farsi carico delle giovani generazioni. Adulti pronti a dare qualche soldo ai giovani (magari lamentandosene), ma non a guidarli nella vita. La libertà che è loro data sa più di abbandono, perché dare libertà, senza aiutare a gestirla saggiamente ponendo i dovuti limiti, significa abbandonarli in mare aperto e burrascoso (questo è il mondo, ci piaccia o no), senza offrire loro un salvagente e insegnare ad usarlo. Mentre leggo i giornali, con il pensiero vado a questi ragazzi, non posso rimediare alla loro solitudine, ma mi viene una gran voglia di abbracciarli».
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