di PGC –
Conosceva la “sua” Palazzina Azzurra come nessuno. Ogni particolare edilizio. E ogni palma, ogni cespuglio, ogni fiore, quasi ogni filo d’erba del giardino. Mi chiamò disperato, quando tagliarono il grande pino. Quante volte ispezionava preoccupato il malandato mosaico della ex pista da ballo: metteva le tessere che si staccavano in tre sacchetti – tre toni d’azzurro – tante volte mandassero qualcuno a ripararla… (Macchè)
Teneva a bada gli espositori, gli artisti, i musicisti, gli assessori, i politici e il pubblico maleducato con la stessa intransigenza: attenti, la Palazzina è fragile, si rompe! Una mattina lo trovai arrampicato su una sedia di plastica che lucidava con cura il plexiglass della scultura VALE & TINO di Marco Lodola: che poesia, sembrava ballasse con loro…
ADELCHI non era “solo” lo storico custode della Palazzina Azzurra, era proprio una sua parte. Era, soprattutto, un testimone scrupoloso, che si studiava – attento e a modo suo – ogni artista. Poi me lo raccontava, a modo suo.
Quando andò in pensione la Palazzina ci restò male, come orfana. Adelchi adesso la guardava da lontano, ci passava davanti in bicicletta, chissà se ci entrò più. Io non riuscii a (ri)portarcelo mai.
Ma le vite della Palazzina e di Adelchi continuavano parallele, il loro distacco non era una tragedia. Si amavano lo stesso. La Tragedia è adesso.
Giorgio
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