di AMERICO MARCONI –
Centoventisette anni fa proprio ad inizio ottobre, naufragava sull’isola Tristan de Cunha in mezzo all’Oceano Atlantico, il brigantino a palo Italia. L’equipaggio era composto da diciassette persone, di cui sei marinai di Grottammare e uno di loro si chiamava Antonio Marconi. Gli altri, compreso il comandante Orlando Perasso, erano liguri. Il brigantino Italia era un elegante veliero a tre alberi, con una portata di 1600 tonnellate. Salpò da Greenock in Scozia il 3 agosto del 1892 con nelle stive un carico di carbon fossile destinato a Città del Capo in Sud Africa. Navigava tranquillo sfruttando i venti Alisei quando il mattino del 28 settembre a bordo si percepì un odore di gas. Fatti i dovuti controlli nelle stive, fu chiaro che si era sviluppato un principio d’incendio. Chiusero ogni boccaporto per togliere ossigeno al fuoco. Eppure il 2 ottobre, mentre la nave procedeva a gonfie vele ed era a una distanza di 80 miglia marine dall’isola di Tristan de Cunha, ci fu nel pomeriggio un’esplosione al centro dell’imbarcazione. Il comandante fece ridurre la superficie delle vele. E fu evidente che quanto prima bisognava attraccare a un porto.
Il giorno seguente distavano circa 20 miglia da Tristan e nel pomeriggio comparve una linea bianca. Era la schiuma delle onde che si frangevano alte sulla costa di pietra lavica, poiché l’isola è di origine vulcanica e in mezzo ha un picco montuoso di 2600 metri. Non era un punto per approdare, stabilì il comandante, mentre si destreggiava tra scogli affioranti tentando di circumnavigare l’isola. Ma arrivò il momento, a soli 60 metri dalla costa, che furono costretti a spiaggiare la nave. Era buio quando abbandonarono il loro veliero con le lance di salvataggio cariche di cibo, teli, attrezzi che li avrebbero aiutati a sopravvivere. Durante la notte l’Italia fu sconquassato da un’altra esplosione. Nonostante ciò l’indomani ritornarono sul relitto per recuperare altra roba. Infine, con la morte nel cuore, lo lasciarono per sempre. Dal 6 di ottobre in poi organizzarono dei gruppi che avrebbero tentato la traversata dell’isola da varie direzioni. Ma l’11 si ripartì via mare con una lancia che il giorno appresso tornò. A bordo si contavano tre persone in più.
Erano salvi! Furono accolti con calore nel borgo di Edinburgh. Due di loro, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto s’innamorarono e decisero di rimanere. I loro cognomi ancora figurano tra i dieci che portano i 300 abitanti della remota isola. Anche il nostromo Agostino Lavarello s’innamorò di una bella ragazza, ma l’anno successivo preferì ritornare in Italia insieme al resto dell’equipaggio. Nel 1930, Agostino scrisse un libro per ricordare il naufragio e in chiusura dedicò queste parole alla fidanzata Mary: «Io non la so rievocare che bionda e fresca come allora, talvolta l’illusione é così forte che mi sembra vederla ancora rientrare correndo al suo piccolo nido e volgersi per l’ultima volta con le mani protese nell’estremo addio».
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