di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
La bambina che vedete nella foto in braccio a suo padre si chiama Liliana. Ha solo 8 anni quando viene espulsa dalla scuola, perché sono entrate in vigore le leggi razziali e lei è ebrea. Viene arrestata a tredici anni, portata in carcere, detenuta e infine deportata insieme alla famiglia al campo di concentramento di Auschwitz. All’arrivo, viene subito separata dal padre, che non rivedrà mai più. Marchiata sull’avanbraccio col numero di matricola 75190, viene messa ai lavori forzati. Liliana Segre è una dei 25 bambini italiani sopravvissuti ad Auschwitz su 776 deportati, l’unica oggi in vita. Lo scorso anno, in occasione dell’ottantesimo anniversario dalla promulgazione delle leggi razziali, il Presidente Mattarella l’ha nominata senatore a vita per premiare il coraggio di una donna che ha reagito a quell’inferno, è sopravvissuta alla follia nazista testimoniando negli anni le atrocità subite per diffondere fra i giovani il valore della libertà.
Mercoledì scorso in senato si votava la sua mozione per istituire una commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo. L’aula ha approvato con 151 voti, ma il centrodestra si è astenuto. Astenersi al Senato vuol dire, di fatto, votare contro, perché i voti favorevoli devono superare sia i voti contrari che il numero degli astenuti. E quando i senatori si sono alzati in piedi per omaggiarla con un applauso, il centrodestra è rimasto seduto senza applaudire. Liliana Segre riceve ogni giorno più di 200 fra messaggi di odio, post e commenti di insulti e minacce perché ebrea. Oggi. In Italia. Per un partito politico che attinge voti anche fra queste frange estreme, antisemite, razziste, essersi astenuti ieri dal votare la sua mozione e rimanere seduti senza applaudire sono segnali precisi da lanciare al proprio elettorato. Non facciamo l’errore di sottovalutare la gravità di quello che sta accadendo nel nostro Paese.
«Quando arrivammo ad Auschwitz ero una ragazzina di 14 anni, sprofondata nella solitudine, nel freddo e nella fame. Il mio numero 75190 non si cancella, è dentro di me. Dopo la liberazione sono rimasta per anni chiusa nel silenzio. Poi ho capito che la memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza».
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