Incontro con Monica Guerritore: l’attrice racconta donne prigioniere di amori straordinari

Monica Guerritore con il marito Roberto Zaccaria, il sindaco Pasqualino Piunti e Mimmo Minuto

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un’attrice con la A maiuscola, una donna di grande fascino che con grinta e passione ha costruito una carriera costellata di successi, tra film e spettacoli teatrali di cui è stata interprete, autrice, regista. Dopo La forza del cuore (ed. Mondadori), Monica Guerritore torna in libreria con Quel che so di lei (ed. Longanesi) e sceglie San Benedetto del Tronto per presentarlo nell’ambito degli Incontri con l’Autore organizzati dall’associazione I luoghi della scrittura, a cura di Mimmo Minuto. Ad accoglierla insieme al marito Roberto Zaccaria (ex presidente Rai), una sala consiliare gremita di ammiratori e lettrici di ogni età.

Un libro che narra la storia del primo femminicidio riportato dalla stampa nazionale. Chi è Giulia Trigona?
Ho letto la storia della contessa Trigona, uccisa il 2 marzo 1911 per mano del suo amante Vincenzo Paternò, ufficiale brillante e affascinante pieno di debiti e con il vizio del gioco, un uomo violento che viveva di espedienti. I due amanti si danno un ultimo appuntamento nella stanza n.8 dell’hotel Rebecchino, perché Giulia è sfinita dalle violente scenate di gelosia di Vincenzo e dalle sue continue richieste di denaro e vuole porre fine alla relazione. Non sa che l’uomo l’aspetta con un coltello da caccia per tagliarle la gola. Ecco, ho immaginato quello che poteva essere accaduto a Giulia nel passaggio delle sette stanze che conducono alla numero 8, dove troverà la morte, e le ho percorse accanto a lei. Ho aperto le porte una alla volta e ho percorso con lei i momenti fatali che l’hanno portata a perdere di vista la salvaguardia di se stessa e a consegnarsi nelle mani del suo assassino.

La contessa è la moglie di Romualdo Trigona, sindaco di Palermo. Una donna molto in vista, proveniente da una famiglia solida. Come ha fatto a cadere nelle mani di un uomo come Paternò?
Giulia è una donna molto fragile. A soli diciotto anni è già moglie e madre, ma è anche una donna ferita. É a casa con le sorelle Beatrice e Lina quando riceve una lettera anonima che l’avverte che il marito la tradisce. Il giorno dopo c’è il terribile terremoto di Messina che farà centomila morti, fra cui Lina con tutta la sua famiglia. Giulia è devastata dagli eventi e sprofonda in una terribile depressione. Sei mesi dopo, alla festa per la rielezione del marito a cui è costretta a partecipare, conosce Vincenzo Paternò, un giovane spiantato e privo di scrupoli che percepisce immediatamente le fragilità della donna e sa come approfittarne.

Chi racconta il percorso di Giulia attraverso le sette stanze?
Ho scelto di dare la parola ai sette grandi personaggi femminili che nella mia carriera ho interpretato. Marianne di Scene da un matrimonio, Anja de Il giardino dei ciliegi, e poi La lupa, Madame Bovary e altre ancora. Rappresentano la devastazione dell’anima, la perdita dell’infanzia, il tradimento, la passione, sono figure disincarnate che riescono a raccontare i singoli momenti che ha vissuto Giulia fino al momento in cui riesce a riprendere la consapevolezza di sé, a dire per la prima volta “no”, a decidere di chiudere la sua relazione con Paternò. É a questo punto che l’uomo capisce che non potrà più gestirla ed è per questo che la uccide.

Esiste la possibilità di riscatto?
Sì, ma a patto che riusciamo a liberarci dalle figure ottocentesche che fanno dell’amore romantico una sorta di viatico attraverso cui abbandonarsi a suggestioni che funzionano come occhiali che impediscono di vedere le cose per quello che sono realmente. La letteratura, l’arte, devono raccontare le donne in maniera diversa, perché noi siamo anche per quello che siamo raccontate. Dobbiamo cominciare a togliere quel surplus di pathos che ci ha accompagnato finora e cominciare a raccontarci in maniera più leggera. Non “amare meno”, ma “amare meglio”.

É il bisogno di compiacimento nelle donne che le rende fragili, vulnerabili e dunque facili vittime di uomini violenti?
Noi donne spesso siamo in grado di intuire che dietro un certo comportamento dell’uomo c’è un pericolo, ma abbiamo paura di rovinare l’immagine che abbiamo di noi stesse e soprattutto dell’amore. Le donne che subiscono violenze dal proprio compagno non denunciano per paura, certo, ma anche perché non vogliono rovinare l’idea dell’amore. Insistono a dire “ma lui mi ama” perché non vogliono vedere le cose per quello che sono. Ecco, l’unica arma vincente deve essere la consapevolezza. Non bisogna avere paura di uccidere un’idea dell’amore che, invece, dovremmo rivedere.

É un problema di cultura?
Anche. L’uomo si trova, in alcuni casi, spiazzato di fronte a qualcosa che non sa come governare. Uccidere diventa la negazione di ciò che non si sa come gestire.

É possibile affermare che il riconoscimento del potere all’uomo gliel’ha dato la donna?
C’è un’attrazione reciproca fra uomo e donna ed è un istinto naturale, il problema non è questo ma semmai la dinamica dei rapporti. Abbiamo vissuto per millenni secondo una cultura che mandava avanti gli uomini e proteggeva le donne, ma questa protezione è diventata negazione di alcune forze della donna, forze non muscolari ma di altro tipo. Penso alle artiste e alle intellettuali bruciate come streghe o marchiate in altro modo. Oggi le cose sono ben diverse e soprattutto gli uomini devono accettare che la forza fisica non è più necessaria, non è quella che determina la sopravvivenza. Allora anche il nostro contributo vale tanto quanto quello dell’uomo per la costruzione della coppia e per il futuro del mondo.

Intuizione, percezione, consapevolezza. Quanto è importante l’educazione sentimentale all’interno della famiglia?
É fondamentale. Quand’ero una ragazzina ricordo le prime volte che uscivo con un ragazzo e mi portava al cinema, davo peso a ogni piccolo gesto, alle attenzioni che aveva per me, al posare la mano sulla mia spalla, a tutte quelle sensazioni epidermiche che creavano un tempo psichico che faceva sì che tu avessi un’educazione sentimentale. L’esperienza sentimentale è molto importante, parte dai libri, dalla letteratura, ma poi necessita di un’esperienza personale che va costruita per tappe. Adesso tutto è contratto, tutto è immediato, i ragazzi vivono in una bolla di immagini che non gli permette di fare esperienze, sono “ignoranti affettivi”.

Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata