di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Dodici anni è un’età strana, quella della pubertà, detta anche della preadolescenza. Non più bambini, tantomeno si è adulti. È l’età dei cambiamenti fisici e psichici. Nei maschi cambia la voce, aumenta la statura, l’umore è incline a sbalzi, crollano le inossidabili certezze del bambino ed inizia a delinearsi una personalità che balla nel confuso perché va per tentativi su nuove definizioni della realtà, della sfera cognitiva. È un’età in cui, tra finte sicurezze, ci sono tante paure reali. Un’età fragilissima e delicata, dove conta molto, anche quando non sembra, la vicinanza del genitore responsabile. Vicinanza ragionata, bilanciata sull’ascolto, sui mutamenti, sulle esigenze del crescere e del maturare. Un’età che abbiamo vissuto e che conosciamo per le sue molteplici sfaccettature. Personalmente, la ricordo bene perché ha coinciso con la perdita del padre. Lo smarrimento si fa ingestibile, la percezione di quello che è intorno non è codificabile nella giusta proporzione tra sentimenti, quotidianità, rapporti interpersonali. Si naviga a vista, si cerca di capire senza averne gli strumenti, con il rischio di finire in qualche meandro di fragilità psicologica con tutte le possibili ricadute sul piano delle scelte e delle esperienze.
Questa premessa era necessaria per introdurre la storia che è stata riportata dalla cronaca nei giorni scorsi. Parliamo del ragazzino dodicenne morto nel ripostiglio del carrello di un aereo di linea. Esattamente nella notte tra il 7 e l’8 gennaio. Una ulteriore precisazione è che vorremmo soffermarci al fatto in sé e in relazione all’età, sganciandolo, momentaneamente, dall’argomento più vasto dell’emigrazione perché, inevitabilmente, porterebbe a spostare l’attenzione sul fenomeno sociale. Dobbiamo immedesimarci nel ragazzino che ha dodici anni e che decide, a prescindere dalla modalità, di andare da solo, senza appoggio di chicchessia, fuori dal suo paese, addirittura oltre il mare, oltre il proprio continente, in un mondo totalmente sconosciuto, tra gente mai vista, in un contesto nuovo, lontanissimo dai suoi che, palesemente, non avrebbe più rivisto e, forse, neanche più sentito. Io, a dodici anni, il massimo che avrei potuto fare era andare a comprare il pane dal fornaio, figuriamoci altro. Fosse finita bene, sarebbe comunque stato un episodio per riflettere sul peso delle motivazioni. Decidere un passo così significa avere una spinta emotiva davvero disperata. Sarebbe facile, superficialmente, parlare di incoscienza, ma l’incoscienza si ferma davanti alle difficoltà. Occorre la disperazione per superare le paure.
Veniamo alla modalità. Ed immaginiamo la scena. Il ragazzino, appostato da qualche parte, con tutto il suo carico di pensieri e di adrenalina, aspetta il momento giusto sull’area di parcheggio degli aerei, nell’aeroporto di Abidjan. E quando crede che il momento sia arrivato, s’avventura. Si avvicina al velivolo dell’Air France e, come ci sia riuscito non lo so, si va a nascondere nel vano del carrello. E fin qui già è un dramma se ripensiamo a tutta la premessa, a livello psicologico ed emozionale. Il bambino, non avendone cognizione, sul piano tecnico, non sa a cosa sta andando incontro. Non sa, ad esempio, che il vano del carrello non ha nulla che possa offrire protezione. All’interno dell’aereo, il passeggero regolare sa di trovarsi in un ambiente sicuro, pressurizzato e riscaldato. Non è così però per il vano del carrello che non ha altro scopo che quello.
L’aereo decolla, il bambino cercherà di resistere alla spinta e poi arriva il peggio. L’aereo di linea sale gradualmente fino a diecimila metri. La temperatura si fa sempre più bassa e con essa anche la difficoltà respiratoria. Già a tremila metri l’aria è più rarefatta, c’è meno ossigeno. A cinquemila, l’ossigeno presente è circa la metà, figuriamoci a novemila o diecimila metri. Non bastasse, la temperatura scende drasticamente. Quando l’aereo è stabile in quota, la temperatura esterna, se va bene, è a -50°. Potrebbe arrivare anche a -60°. Quindi il gelo, nel vano del carrello. Il buio, la mancanza di ossigeno. E già da un po’, probabilmente, il ragazzo sarà svenuto, dopo aver provato tutte le paure possibili, dopo aver sofferto terribilmente. In quelle condizioni non si sopravvive. Verrà trovato morto, all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Possiamo immaginare lo stupore del personale addetto. Possiamo immaginare le sofferenze indicibili del ragazzo senza nome. E neanche l’età conosciamo. Si presume sui dodici anni. Come dicevamo, non è un articolo che parla di migrazione, vuol portare un pensiero, un omaggio ideale al coraggio disperato di un povero ragazzo, cresciuto male, nel posto ingrato, morto peggio.
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