di AMERICO MARCONI –
In questi difficili giorni di quarantena, tra tutte le qualità dell’animo ci è richiesta massimamente la pazienza. Dobbiamo stare chiusi in casa. E aspettare che la grande ombra della pandemia scatenata dal temibilissimo, sconosciuto virus Covid-19 allenti la sua morsa. Sappiamo che ci vorrà tempo, nessuno sa quanto. Bisogna aspettare pazientemente e rispettare con fiducia le raccomandazioni: infine passerà. Sei anni fa, reduce da un intervento chirurgico, mi trovai a riflettere a lungo sulla pazienza. Qualità che assumeva i contorni di un miraggio irraggiungibile nella lunga convalescenza.
Ventimila anni fa l’homo sapiens iniziò a scolpire e dipingere rocce; poi a coltivare la terra, allevare animali e vivere in comunità. Nelle abilità e nella condivisione, apprese ad essere paziente: oltre a homo sapiens era divenuto homo patiens. Sviluppò capacità cognitive e simboliche che lo portarono a parlare, scrivere e sviluppare sistemi di pensiero. Fu allora che definì la pazienza vera e propria virtù.
Omero descrive Ulisse, nell’Odissea, come un uomo astuto, abile, curioso ma soprattutto paziente. Perché dovette trattenere gli impeti del cuore e attendere il momento propizio per ristabilire la giustizia. Significativo è il passaggio nel libro XX mentre subisce la tracotanza dei Proci in casa sua. «Il cuore gli urlava nel petto. E comprimendosi il petto parlava al suo cuore: “Cuore sopporta. Pena più atroce hai tollerato il giorno in cui il Ciclope furente divorò i tuoi compagni…”. Ed esso si placava, sopportando paziente».
Nell’Antico Testamento è il libro sapienziale di Giobbe che può essere definito il libro della pazienza. Giobbe, uomo buono e giusto, perde tutto. Anche i suoi figli e le sue figlie. E, come se non bastasse, una piaga maligna lo ricopre riducendolo a grattarsi con un coccio nella cenere. Tra lo scherno della moglie e degli amici. I suoi lamenti, i suoi «Perché?» risuonano alti da duemila e cinquecento anni ed hanno impegnato i filosofi di tutti i tempi: da Sant’Agostino a San Tommaso, da Kant a Kierkegaard. Søren Kierkegaard nel 1855 scrive: «La grandezza di Giobbe è in questa lotta che esaurisce tutte le lotte che l’uomo deve sostenere per giungere ai confini della fede».
Fino a questi drammatici giorni la pazienza faceva quasi sorridere. O meglio era implorata giusto da malati e perseguitati. In una società dai ritmi convulsi il paziente, nei confronti dello scattante impaziente, faceva la figura di un mezzo tonto, lento e impacciato. Invece oggi, proprio oggi, capiamo che chi è dotato di pazienza ha una maggiore capacità di superare gli ostacoli imprevisti. Ed è anche più ottimista, perché si apre alla speranza con una visione nuova della vita. Dunque armiamoci di pazienza! Come fosse la corazza di un cavaliere, con la quale affrontare questa incombente, cupa minaccia con le inevitabili limitazioni e tribolazioni. Forti dell’interiore certezza che riusciremo a superarla, tutti insieme.
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