di REDAZIONE –
GROTTAMMARE – Prosegue con successo l’appuntamento su facebook con “La poesia dei giorni pari” a cura del dott. Americo Marconi, nostro prezioso collaboratore. Questa volta Americo ha scelto la poesia “La rosa” del grande autore argentino Jorge Luis Borges.
Jorge Luis Borges, nato nel 1899 a Buenos Aires, è stato l’autore più dotto di tutta la letteratura del XX secolo. Non insignito del Premio Nobel per il suo carattere riservato e schietto. Disseminò le sue opere di motivi ricorrenti: l’infinito, l’eternità, la circolarità del tempo, il sogno, lo specchio, il labirinto, il libro, la biblioteca, la tigre, la rosa. Immagini primordiali che creano una moltitudine di mondi possibili. Ed ecco meraviglia e smarrimento, suscitati profondamente da ogni sua prosa e poesia, mutare per sempre la percezione del mondo. Non si è più la stessa persona dopo aver letto Borges.
Riguardo alla sua poesia Claudio Magris scrisse: «La sua arte è discreta e ritrosa, si affida al margine e al suggerimento, affiora da ciò che sta in disparte. Rincorre l’incanto di un attimo, in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto. Ma è un’attesa delusa, perché quel segreto non viene detto e resta nell’ombra».
La rosa
A Judith Machado
La rosa,
l’immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del nero giardino nella notte profonda,
quella di qualunque giardino e di qualunque sera,
la rosa che risorge dalla tenue
cenere per arte d’alchimia[1],
la rosa dei persiani e di Ariosto[2],
quella che è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l’ardente e cieca[3]rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.
Jorge Luis Borges
[1] È la rosa di Paracelso (medico e alchimista del XVI secolo) e il titolo di un racconto di Borges: in cui Paracelso dalla cenere della rosa bruciata fece risorgere una nuova rosa
[2] Dei persiani, intendendo un tema letterario caro alla poesia persiana. Il riferimento ad Ariosto riguarda la similitudine: «La verginella è simile alla rosa…» (Orlando Furioso, I, 42).
[3][3] Evidente riferimento alla progressiva cecità dell’autore.
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