di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
Liborio è considerato il matto del paese. È una “cocciamatte”, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello. E del resto, abbandonato dal padre prima ancora di nascere, rimasto solo con la mamma gravemente malata, povera e sotto sfratto esecutivo, va a finire che nessuno ti capisce e uno rimane più solo ancora e scemo di quanto è. Liborio è un bambino e deve già lavorare per guadagnarsi il pane da Mastr’Antonio il funaro. Quattro soldi e tante botte. L’unico ricordo felice di un’infanzia segnata dalla miseria e dalla solitudine è legato al maestro che a scuola gli fa dono del libro “Cuore”.
Arrivano gli anni della dittatura fascista. La folla in piazza esulta al passaggio del Duce e inneggia alla guerra, Liborio crede sia una festa ed è fiero di essere un giovane balilla dopo esser stato figlio della lupa, lupetto, libro e moschetto fascista perfetto ed è nell’ingenuità con cui vive ciò che gli accade intorno che si fa strada lentamente la malattia mentale. Perché la guerra poi scoppia per davvero, ma non è affatto una festa. L’inferno arrivò di pomeriggio, tutto di botto, che pareva che tutti i diavoli uscivano da sottoterra con le corna e i forconi e gli occhi rossi. Un linguaggio della fragilità esistenziale che si rivela incredibilmente efficace per descrive la violenza, le bombe, i rastrellamenti.
Operaio in fabbrica nell’immediato dopoguerra prima in Lombardia e poi in Emilia Romagna, Liborio è un eroe della marginalità che vede nel mondo ciò che gli altri, i sani, non vedono. Gli anni sessanta-settanta sono quelli del boom economico ma anche delle morti sul lavoro e delle prime conquiste sindacali, il lavoro gira dappertutto e se ci avevi la raccomandazione dell’onorevole, pure alle poste e alle ferrovie. Alienato dal lavoro in catena di montaggio, finisce sotto processo per l’aggressione al cronometrista che lo rimprovera perché non produce abbastanza pezzi e, di conseguenza, dapprima in carcere e poi in manicomio, dove ci stanno pure le persone perbene che sono state solo un poco sfortunate. Il periodo in manicomio, in realtà, non è per Liborio un’esperienza negativa, perché è la casa dell’accoglienza della diversità ed è in queste pagine che sta il senso dell’opera “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (ed.minimum fax) di Remo Rapino.
Un libro che ripercorre la storia dell’Italia del secolo scorso, dal ventennio fascista alla guerra, dalla ripresa economica alle rivolte sociali, dalle contrapposizioni politiche alle delusioni ideologiche, attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta stando ai margini. Un invito all’accettazione della diversità attraverso il racconto della vita di un uomo che ha lottato per dare voce a quelli che non hanno voce.
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