di ROSITA SPINOZZI –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un’intervista tutta al femminile scaturita da un piacevole pomeriggio in redazione. Si potrebbe riassumere così l’incontro con Fania Pozielli, una donna che rispecchia pienamente l’accezione più nobile del termine, oltre ad essere un’ottima scrittrice. Le qualità di Fania sono tante come medesima è la voglia di raccontarsi e raccontare. Il filo conduttore del nostro dialogo sarà, inevitabilmente e inconsapevolmente, l’universo femminile nelle sue molteplici sfaccettature. Perché è un argomento che a Fania sta molto a cuore, perché ne sente il “richiamo”, l’esigenza di dare voce a chi spesso voce non ha. Pertanto la sintonia tra di noi è immediata. Fania è nata in Svizzera, figlia di emigranti:padre operaio e madre sarta. La vita è difficile lontano dall’Italia per via degli usi e costumi diversi, se poi non si riesce a lavorare in due lo è ancora di più. Siamo nel 1965, e Fania ha soltanto un anno quando la famiglia torna a San Benedetto del Tronto. Studia, diventa maestra elementare senza, però, mai esercitare la professione. Lavora a lungo come impiegata, s’intende di cucina, fa la cuoca, ed oggi lavora in un sushi restaurant. Intorno ai quarant’anni scatta in lei il cambiamento e nasce la sua grande passione per la scrittura. «Non avendo un impegno intellettualmente preminente, sono riuscita a creare, a soddisfare quella mia esigenza di accendere un microfono a beneficio della musica che mi suona dentro. – spiega Fania – Così mi sono messa alla prova anche come donna: si dice spesso che molte cose insieme non si possono fare, che quando una persona lavora su più fronti ruba il tempo alla famiglia. Invece ho compreso che le donne hanno risorse inesauribili e riescono a portare avanti anche più progetti contemporaneamente».
E così è stato per Fania, che di libri ne ha scritti tre. Il primo è un noir e s’intitola “I gabbiani non parlano” (2015), un’opera di fantasia nata con il supporto di Mimmo Minuto presidente dell’associazione “I luoghi della scrittura” e di Cinzia Carboni, mentore per lei fondamentale in questo mondo letterario dove era una new entry. Il libro ha avuto ottimi riscontri ed è stato un po’ il “trampolino di lancio” per il romanzo che Fania voleva scrivere da sempre: “Il secolo di Angelo” (2017). In questo caso dal noir si passa ad una interessante saga familiare che trae linfa vitale dalle esperienze tramandate dalla sua famiglia, dai parenti in Argentina, Australia e Svizzera. Un lavoro di ricerca che ha portato Fania a ricostruire i cento anni di storia che partono dal 1900 con il bisnonno Angelo Pozielli, e si concludono nel 2000 con suo padre che si chiama anche lui Angelo Pozielli. «È il secolo dei marchigiani nel mondo, di persone che hanno dato una buona prova di sé. – spiega l’autrice – Ed è anche il libro che mi ha dato più soddisfazioni: “Il secolo di Angelo”, infatti, si è aggiudicato il premio “Un libro per Arquata” indetto dalla Omnibus Omnes ed è stato presentato al Salone del Libro di Torino ospite dello stand Marche».
L’ultimo libro di Fania è “La vendetta delle innocenti”, edito Mauna Loa, sorella minore della Mauna Kea nonchè pregevole casa editrice che si occupa di letteratura etica. Un percorso di due anni per una storia che l’autrice ha iniziato a concepire in sordina per focalizzare determinati concetti che le stanno a cuore. Un libro che ha come fulcro le vittime di abusi sessuali. Le protagoniste sono Fiammetta e Beatrice che, a duecento anni di distanza l’una dall’altra, subiscono una violenza che cambierà per sempre le loro vite. «È un romanzo nato dalla mia immaginazione che vuole focalizzare ulteriormente l’attenzione su uno dei tempi più attuali come la violenza di genere. Un tema pieno di pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni. – spiega Fania – Sono voluta andare oltre e dare maggiore spazio ai sentimenti e ai desideri di queste due donne, divise dal tempo ma unite dal dolore, fisico e morale, di uno stupro». Ma la vendetta può rendere giustizia ad una donna violata? Una domanda provocatoria, che aleggia nel corso dello sviluppo narrativo. «Il finale del libro sarà sorprendente la protagonista più “contemporanea”, attraverso riflessioni profonde scaturite dal ritrovamento di un vecchio ritratto in soffitta, – un ritratto di chi ha subìto la sua stessa violenza – deciderà di spezzare questa “catena” con un gesto eclatante». Un libro da leggere. Un libro che fa discutere, soprattutto nelle azioni della protagonista Beatrice, una antieroina dei nostri tempi che troverà alla fine una via di riscatto.
Inevitabile parlare dell’idem sentire femminile, di donne che hanno raccontato altre donne. Ma ci sono anche autori maschili che si sono avvicinati molto ai sentimenti femminili. Per Fania i più sensibili e rispettosi sono Vasco Pratolini (“Il quartiere”) e John Irving (“Le regole della casa del sidro”). «Ho amato la loro empatia, la capacità di saper entrare nel dolore femminile, di capirlo e rispettarlo e, in alcuni casi, anche esaltarlo. Nel caso di Irving viene affrontata la sofferenza di una donna di fronte ad una maternità negata, imposta, non voluta. Sono entrambi autori dall’animo grande». Per associazione di idee, infatti, è bene ricordare che Fania ha dedicato il suo ultimo libro a Denis Mukwuege, ginecologo congolese che ha fondato un ospedale in cui è diventato il massimo esperto mondiale nella cura di danni fisici interni causati da stupro. Lo ha dedicato “a lui e a tutti gli uomini che dedicano la loro vita alla cura delle donne ferite”.
Altri impegni letterari di Fania sono quelli relativi la cura della pagina “Giovani Oggi” del multiblog “L’Occhio.net” della Omnibus Omnes e la collaborazione nell’ambito della collana Easy Reader, edizioni ad alta leggibilità della casa editrice Mauna Kea fondata da Raffaella Milandri, per la quale ha curato la prefazione a “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao. Nel blog Fania si relaziona con i giovani e il messaggio che lancia è positivo e incoraggiate: «La lettura non è poi così lontana dai ragazzi, come si pensa. Bisogna saper catturare la loro attenzione, incuriosirli con argomenti non strettamente legati a loro, raccontare storie reali. I giovani fanno domande, hanno curiosità legate al mondo della scrittura».
Fania e l’amore per la scrittura. Ma anche Fania e la passione per la cucina. Due attività a lei congeniali che potrebbero sfociare in un romanzo “tra i fornelli” e, in questo caso, cinema e letteratura sono pieni di esempi, alcuni dei quali molto ben riusciti. «A combinare cucina e scrittura non avevo mai pensato, ma è un’idea da prendere in considerazione. Per me sono due facce della stessa medaglia, sono entrambi un modo attraverso il quale esprimermi. Non è scluso che in futuro, quando avrò materiale a sufficienza, non ne possa nascere una storia».
Di progetti Fania ne ha tanti: «Non concepisco l’idea del riposo, così sto già pensando a cosa scrivere. Nel romanzo “La vendetta delle innocenti” ci sono componimenti poetici espressi attraverso le due protagoniste: ho dato voce a Fiammetta e Beatrice non solo con la prosa ma anche attraverso la mia modestissima poesia. Le ho munite di penna e taccuino per scrivere versi che raccontassero il loro stato d’animo. La poesia è stata la mia prima fonte di espressione quando avevo sei anni. Mi piacerebbe, quindi, ritornare alla “passione fossile”, ora che di anni ne ho molti di più. Ho pudore di queste cose, ma ci sto pensando». Il tempo vola quando si è in buona compagnia. Adesso Fania mi sembra davvero di conoscerla da sempre. Siamo d’accordo sul fatto che si fa meno fatica a condividere le proprie esperienze con un libro in mano. «Esprimermi ed essere ascoltata, dare forza ai miei valori. È quanto mi auguro dalla vita» conclude Fania. E noi glielo auguriamo di tutto cuore. Perché la cultura è il nostro punto di forza.
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