di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
C’è un luogo nelle Marche che ha molto da raccontare. Parla di storia, spiritualità, incanto botanico, cultura, architetture romaniche, attività naturalistiche e molto altro. Eppure, alle origini, era un ambiente paludoso, povero e isolato. Forse per questo fu donato ai monaci cistercensi intorno alla metà del dodicesimo secolo. I monaci, osservanti della regola benedettina Ora et Labora, iniziarono una faticosa opera di bonifica, arginando il fiume Fiastra e rendendo coltivabile la terra. E soprattutto avviarono la costruzione di una magnifica Abbazia con l’aiuto di architetti francesi. Nei pressi del luogo c’erano antiche rovine e resti urbani che vennero utilizzati per ricavarne materiale edilizio di pregio. Stiamo parlando della città di Urbis-Salvia e dell’Abbazia Chiaravalle di Fiastra. I lavori andarono avanti per oltre mezzo secolo e poi fu subito successo. L’opera era imponente, di grande fascino e richiamo. Tuttora, è uno dei maggiori monasteri delle Marche.
Oggi, il territorio è conosciuto come Riserva Naturale Abbadia di Fiastra di proprietà dalla Fondazione Giustiniani Bandini che funge anche da Ente Gestore. Uno spazio grande ben 1.825 ettari, tra i Comuni di Tolentino e Urbisaglia, al cui interno c’è l’abbazia, ancora abitata dai monaci che provvedono alle funzioni religiose. La struttura comprende ben tre musei: la Civiltà Contadina, l’Archeologico e uno dedicato al vino. Inoltre c’è un bellissimo orto botanico, con alberi secolari, tra i quali un enorme sughero di origine sarda dalla tipica corteccia. Ci sono diversi locali per la pausa e la ristorazione, la foresteria, ampie aree per pic-nic, percorsi naturalistici tra i boschi, come quelli dedicati al Nordic Walking. L’Abbadia ospita congressi, conferenze, incontri tematici, laboratori esperienziali con guide e relatori che provengono da tutta Italia.
La chiesa, dedicata a Santa Maria, è davvero imponente: ben 72 metri di lunghezza. Piace al primo impatto visivo, per quel bellissimo portico antistante con campate a volta e un portale in marmo. Lo stile è semplice, un romanico con spunti gotici, ma essenziale, austero, severo secondo la cultura cistercense. La solennità dell’interno è data dalla maestosità degli spazi, da colonne enormi ma diverse tra loro. La chiesa ha tre navate dove regna un silenzio assoluto che invita al raccoglimento. Non occorre avere fede per sentire la forza e il bisogno di un attimo di raccoglimento e riflessione. Quando si sta per uscire, colpisce la luce esterna che attraversa il gigantesco rosone, infondendo nella chiesa fasci luminosi dall’effetto mistico. La chiesa è parte del monastero che fa del chiostro il suo centro, con il tipico pozzo al centro e i portici arcati tutt’intorno. Il monastero comprende, oltre la chiesa descritta, la Sala del Capitolo, l’Auditorium, lo Scriptorium, il Dormitorio (oggi parzialmente sostituito dal Palazzo Bandini), la Sala delle Oliere, il Refettorio dei conversi e il cosiddetto Cellarium.
Il parco è ricco di alberi secolari e maestosi tra i quali alcune tipologie di querce, come il cerro, la roverella e la farnia. Colpiscono per la loro bellezza molti frassini orniello. Altissimi ed eleganti, accolgono i visitatori alle loro ombre, con i prati molto ben curati. Altrettanto belli e imponenti sono gli aceri campestri. Camminando, si incontreranno anche il leccio, conifere di ogni tipo e il bosso. Il visitatore pigro potrebbe accontentarsi di una sosta ravvicinata, nel giardino antistante il monastero, ed è già appagante, ma per chi vuole addentrarsi nella Riserva, ci sono ottimi percorsi molto ben segnalati, indicando difficoltà e lunghezza. Non è raro incontrare qualche bel capriolo.
Tornando alla storia, ci sono alcuni passaggi che meritano di essere ricordati. Nel XIII secolo, il monastero era piuttosto potente. Contava 200 monaci, aveva esteso la propria giurisdizione su un territorio molto ampio e si occupava, oltre che di religione, anche di attività mercantili e culturali. Ma alcuni attacchi militari, nei due secoli successivi, portarono ad un inesorabile tramonto, spingendo il Vaticano a cedere la gestione dapprima ad altri enti religiosi ed infine nel diciottesimo secolo fu definitivamente ceduta in mani private, ai marchesi Bandini. Oggi, come sappiamo, se ne occupa la Fondazione Giustiniani Bandini che ha istituito la Riserva Naturale nel 1984. E i monaci? Dopo secoli di abbandono, i cistercensi hanno fatto ritorno, da ospiti, nel 1985, occupando una parte del vecchio monastero.
Qualunque sia la ragione che ci porta alla Riserva, probabilmente non cercheremo la storia delle origini, perché il presente è di per sé un libro aperto, sia che si voglia favorire gli aspetti naturalistici, sia che si faccia il giro guidato nelle architetture e nei musei che tramandano sapienza antica, arte contadina e artigianale. Il consiglio è di tornarci più volte. La prima sarà per uno sguardo d’insieme, per respirare quell’atmosfera che sa di vita profonda, essenziale e purificata, le successive per approfondire questo o quell’aspetto, per non trascurare nulla. Ogni dettaglio merita attenzione.
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