di AMERICO MARCONI –
Settant’anni fa, tra il 26 e il 27 agosto del 1950, Cesare Pavese si uccise nell’albergo Roma di Torino. Dopo aver vinto nello stesso anno il Premio Strega, col suo libro La bella estate. Testo in cui sono raccolti La bella estate, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole. Cesare Pavese era nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, in provincia di Cuneo, tra vigne e colline. Per poi trasferirsi con la famiglia a Torino ove compì gli studi. Le vigne, i boschi, i sentieri, i fossi, i canneti, le pozze, dove tornavano a villeggiare in estate, saranno sempre presenti – col valore di miti originari – nei suoi scritti.
Ho tutte le opere di Cesare Pavese in un cofanetto raccolto nel 1973 da Einaudi; la casa editrice in cui aveva ricoperto tanti ruoli: da correttore di bozze, a traduttore, da curatore di collane, ad autore. Di tutte quelle opere Il diavolo sulle colline, letto per primo quando avevo sedici anni insieme agli amici, ci piaceva di più. Basti l’inizio: «Eravamo molto giovani. Credo che in quell’anno non dormissi mai». Narra le chiacchiere e le scorribande – soprattutto notturne – tra fantasie, vino e scherzi di quattro amici. L’io narrante senza nome, Oreste, Pieretto e Poli il più ricco, forse avvezzo oltre che all’alcool alle droghe, già con un’amante poi con una moglie. Anche noi eravamo quattro e giravamo, come potevamo, allo stesso modo tra paesi e colline, senza riposo, facendo scherzi memorabili. Anche per noi giunsero le amate, sognate ragazze, sempre al centro dei nostri discorsi e della nostra vita.
Torniamo al 1950. Con la domanda che tutti si posero:«Ma il suicidio di Cesare Pavese fu un suicidio d’amore?». Davide Lajolo suo amico, autore del Vizio assurdo, ne è sicuro. E indica le tre donne che segnarono i tre più gravi fallimenti sentimentali di Pavese. La prima è Tina Pizzardo – la donna dalla voce rauca – che lui amò e difese, tanto da finirci condannato come antifascista a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. Quando dopo un anno, nel 1936, tornò a Torino la trovò sposata. La seconda è Fernanda Pivano di nove anni più giovane. Il loro fu un rapporto tra un attento maestro e una promettente allieva che s’incontrarono tutti i giorni per cinque anni. Alla quale Cesare chiese per due volte di sposarlo. Le due date sono poste in epigrafe al libro Ferie d’Agosto sotto una croce e un In memoria 26 luglio ’40 – 10 luglio ’45. Anche Nanda s’innamorerà di un altro che sposerà nel 1949. La terza donna è Constance Dowling, attrice americana colta e ambiziosa. Cesare si sente diverso e girano insieme per i costosi alberghi di Cortina d’Ampezzo. Ma la storia dura poco. A lei è dedicata la raccolta e la poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi con la chiusa: «Scenderemo nel gorgo muti».
Il pomeriggio del sabato 26 agosto 1950 Cesare Pavese si reca all’albergo Roma di Torino, proprio davanti alla stazione, e chiede una stanza singola. Gli danno la chiave della stanza 346. La camera ha un piccolo letto, il bagno sulla sinistra, un telefono dell’epoca, una poltrona rossa e una scrivania. Si chiude dentro. La sera chiama al telefono amici e amiche. Tra cui Nanda, chiedendole d’incontrarsi, ma lei ha il marito ammalato e non può andare. Non scende per cena. Il giorno dopo, domenica 27 agosto, non si vede per colazione né pranzo. Sono passate le ore 20, lo chiamano al telefono, poi bussano alla porta. Non risponde. Strattonano e aprono la porta della camera. Cesare giace vestito sul letto, senza scarpe, morto. Sul comodino numerose bustine aperte di sonnifero, sul tavolo una copia dei Dialoghi con Leucò, il suo libro su uomini e dèi. Alla prima pagina ha appuntato: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Sul Mestiere di vivere, il suo diario, già il 18 agosto aveva concluso: «Non parole. Un gesto. Non scriverò più».
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