di AMERICO MARCONI –
Da ragazzi in estate le nostre famiglie ci portavano a respirare aria buona a Ripatransone. E gironzolavamo tra le tante meraviglie del paese. Quelle che più ci colpivano e ci attraevano magneticamente erano le Grotte di Santità. Con le loro grandi bocche buie e misteriose a valle della strada provinciale Cuprense che va a Cossignano, proprio sotto un tratto di mura. Andavamo a piedi con altri amici e ci fermavamo a giocare sulla ghiaia renosa davanti alle alte entrate. Ma non trovammo mai il coraggio di addentrarci, perché ci era stato severamente proibito.
Il racconto che sapevamo a memoria non ammetteva deroghe al divieto. Molti anni prima un gruppo di seminaristi aveva tentato di esplorare le Grotte di Santità. Soprattutto per vedere se giungessero, come si raccontava, fino al centro del paese sotto certi palazzi. Una volta dentro scoprirono di essersi cacciati in un labirinto e uno di loro, che si era spinto avanti, non riuscì a trovare la via di uscita. Nonostante i richiami degli altri più non si rivide, probabilmente sepolto da una frana improvvisa. Il primo storico a parlare delle Grotte è Giovanni Garzoni, medico umanista di Bologna, che nel 1497 le descrive nel capitolo I della sua Storia Ripana. Riferisce che furono realizzate e usate dalla popolazione che vi si rifugiava dal IX secolo, durante le incursioni saracene. Il sanguinario e avido saraceno Sabba entrò in quelle grotte. Trovò la cavità dove erano stati nascosti oro e argento e ne portò via in gran quantità.
La modernità giunse con potenti mezzi meccanici e nel 1967 lavori di ampliamento della strada Cuprense determinarono la pressoché totale chiusura dell’ingresso. Che a mala pena s’intravedeva sopra il muro di cemento. Una decina di anni dopo con due miei amici di Ripa, Achille e Carletto, impavidi salivamo montagne ed esploravamo grotte: armati di corde, caschi, torce, fili di Arianna. Fu allora che ci venne in mente di ritrovare le Grotte di Santità. Ma nonostante i calcoli e i ripetuti tentativi non ci riuscimmo. Nel 2009 il gruppo speleo del CAI di Fermo iniziò a interessarsi delle perdute cavità. Fino a scovare un angusto pertugio che traversa sotto la strada giungendo all’ingresso da noi cercato invano. Nel 2011 furono rese pubbliche foto e relazione di quel complesso sistema ipogeico ancora esistente – rappresentato da circa due chilometri di cunicoli, stanze, nicchie – che sono le Grotte di Santità. Il ritrovamento ancora ci permette di continuare a narrare storie e fatti che in parte accaddero solo nelle stanze della fantasia. Ma che non dobbiamo, per nulla al mondo, dimenticare.
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