di ENRICA LOGGI –
Mi aggiro in questo universo di parole, nella ricchezza pari alla semplicità di questo libro, che dalla scorsa estate mi accompagna come un amuleto. Lungamente mi sono soffermata tra le sue quasi oniriche similitudini, che scorrono di poesia in poesia donandosi all’attenzione di chi legge, in una sorta di verginità espressiva che emerge dalla grande sincerità dell’ispirazione. Potremmo dire che Carlos restituisce a sé e al lettore quello che la difficoltà della vita di questi giorni viene togliendo più che mai. L’atteggiamento, la disposizione intensa delle frasi attingono a una visione intatta di quella che è l’esistenza, una purezza che viene man mano a tradursi in immagini e creazioni che il Poeta divide con noi, in un diario costante dove chi legge è invitato a stupirsi, a rinnovare il suo sguardo dove comincia e finisce la parola di chi intensamente cerca nella vita una sua verità che resti salda, nonostante la relatività del tutto.
“Le cose semplici / fanno poco rumore”: è questa la poetica di “Folignano City Blues”, l’ultimo libro di Carlos, una ricerca appassionata che può abitare un silenzio, e che solo nel rapporto col lettore può gentilmente moltiplicarsi in una misteriosa rivelazione. La “polvere dei giorni” è intensamente cercata nel suo tenue ma implacabile divenire, là dove la mano del Poeta si tende ad afferrare ciò “che si muove / che non si nota.” “Scriverei poesie su ogni corteccia / su ogni foglia caduta”. La poesia di Carlos è il suo secondo abito, la chimera di un presente dove il verso è dominante, ritagliato “nel pentagramma del cielo“ “dove ballano i pianeti”, mentre “fuori / le rondini tessono / la primavera”.
Nel panorama a suo modo filosofico di ricerca esistenziale il verso emerge in un indicibile nitore, e spunta come un fiore primaverile, effimero e solerte, a illuminare questa terra nuda, queste nostre timide certezze. “La vita è anche questo / questa giocosità del tempo” e giocoso è anche lo humour del poeta che fa risplendere il suo cielo stellato là dove l’oscurità sembra maestra di una fine: “A volte ha piovuto / da quella nuvola nera / ma ho trovato sempre un sole / una speranza / un ombrello di stelle / per continuare a camminare”. E potrei citare molti altri versi, dove “l’immortalità mortale “ si rifugia, si colora e si traduce in un canto amoroso, in un innocuo scetticismo che fa delle sue note un interessante e gioioso respiro.
Prima era il caos
Nomino l’innominabile
quello che non si vede
gioco con l’invisibile
con quello
che non ha
ancora parole
per indicarlo
gioco
con la voce che non ho
mi dico
di non dirlo
mi afferro
al silenzio
che parla
nella sua baraonda
di elementi
vuoto
come un bicchiere rovesciato
retrocedo
mi dò al caos
al prima.
(Da “Folignano City Blues”, Lìbrati, 2019)
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