di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
Qualcuno un giorno ha detto Quelli che riescono a farci ridere non dovrebbero morire mai. È un sogno impossibile, un desiderio che oggi più che mai invece vorremmo si potesse realizzare. Gigi Proietti se ne è andato il giorno del suo compleanno, che è il giorno dei morti. Proprio lui che ci aveva sempre scherzato su. «Che dobbiamo fa’? La data è quella che è, sono nato il 2 novembre.» Attore, comico, cabarettista, regista, compositore e cantante, doppiatore, direttore artistico e perfino insegnante (la sua “Bottega teatrale” ha prodotto talenti come Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano, Flavio Insinna). Più di mezzo secolo di successi fra teatro, cinema e televisione, raccontando vizi e virtù del nostro Paese e facendo sorridere tre generazioni di spettatori.
Che la sua strada fosse nel mondo dello spettacolo s’era capito ben presto. «I miei ci tenevano alla laurea. Io studiavo, si fa per dire, Giurisprudenza, ma la sera mi esibivo con una band alle feste studentesche, nei bar e, quando andava bene, nei night club.» Autodidatta, suonava la chitarra, il pianoforte, la fisarmonica e il contrabbasso. Al mattino frequentava le lezioni universitarie, il pomeriggio provava al Centro Teatro Ateneo, la sera cantava nei locali. La prima grande occasione arriva nel 1970 con Garinei e Giovannini, ma è nel 1976 che scrive e porta in scena A me gli occhi please, lo strepitoso one man show che lo consacra, segnando uno spartiacque nel modo di intendere il teatro.
Un dio dei tempi comici, in grado di riempire il silenzio con una smorfia, uno sguardo, un mattatore che negli anni ha interpretato qualsiasi ruolo ed è passato dalla musica alle gag comiche, dalle macchiette di Petrolini al teatro di Brecht, Shalespeare e Moravia. E poi tanto cinema. Ha lavorato praticamente con tutti i più grandi, da Steno che firma il mitico Febbre da cavallo a Sergio Corbucci con cui gira Non ti conosco più amore, da Pasquale Festa Campanile a Mario Monicelli, Franco Giraldi, Elio Petri, Vittorio Gassmann, Carlo Verdone, Matteo Garrone. Gira per la televisione quasi quaranta tra film, sceneggiati e serie Tv, tra queste ultime come non ricordare L’avvocato Porta e Il Maresciallo Rocca.
«Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte» diceva. Ironico, intelligente, popolare e comunque molto colto, un inguaribile ottimista che mai ha rinnegato alcuna delle sue opere («Non ho rimpianti, rifarei tutto, anche quello che non è andato bene») e che questo Paese non smetterà mai di amare.
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