di AMERICO MARCONI –
Pianta singolare il cachi! Le sue foglie in pieno autunno assumono colori sgargianti tra il verde, giallo, arancio e vermiglio prima di cadere. Ma i frutti color arancio chiaro rimangono appesi, resistenti al freddo e al vento, a maturare. Una volta arrossati, con spacchi sulla buccia, sono buoni da mangiare. Ma se aspettiamo la completa maturazione gli uccelli arrivano prima e, ghiotti del dolce frutto, lo beccano fino a consumarlo. La bravura è tutta lì: raccoglierli al punto giusto. Prima che gli uccelli li prendano d’assalto, ma non troppo acerbi o il gusto allappante non scomparirà. Mentre sono da parte arrivano i moscerini che sembrano uscire dal frutto stesso. Anche loro desiderosi della prelibata polpa. Insomma un frutto che piace a tutti. E ognuno deve saperselo conquistare.
Nel mondo dei ricordi davanti alla nostra vecchia casa rosa c’erano tre piante di cachi, alte e vecchie. Piante e frutti in dialetto locale sono dette cachì. Salivo sopra i rugosi tronchi tre, quattro volte ad inverno e ingollavo una decina di frutti per volta, molli e dolcissimi. «Ti sei impapalato tutto / Ti sei sporcato tutto», diceva mia madre. Obbligandomi poi a lavarmi bene bocca e mani alla vaschetta di cemento; dove usciva, spinta da un ronzante motore, l’acqua del pozzo.
Il Cachi è pianta di origine orientale giunta in Europa a fine Settecento dove fu nominata Diospyros Kaki. Ha radici mitologiche in Cina. Una leggenda cinese narra che in una famiglia laboriosa e rispettosa nacque un bimbo. Fin da ragazzo superbo, fannullone e disubbidiente: una vergogna per i parenti. Una sera il padre pregò con il cuore e la mente gli dèi affinché donassero al figlio almeno una virtù. Nel sogno comparve una divinità con la barba lunga, vestita d’oro. In mano stringeva un seme piatto e bianco che gli donò. Si raccomandò che lo piantasse, per far mangiare poi a suo figlio il frutto. Il padre lo mise sotto terra e l’albero crebbe vigoroso. In inverno maturarono bellissimi e morbidi frutti rosso arancio. Il ragazzo fu felice di mangiarli tanto erano buoni. E mangiando quei frutti, che erano cachi, ebbe in dono sette virtù. Sviluppò longevità, resistenza, bellezza, compassione, allegria, generosità e ricchezza. La pianta stessa è detta delle sette virtù: vive molto, resiste ai parassiti, dà una bella ombra, tra i suoi rami non ci sono nidi, si può giocare con le sue foglie multicolori, foglie che diventano concime per la terra e alimentano un gaio fuoco.
In Italia tra le usanze popolari troviamo quella di prevedere il tempo invernale attraverso l’osservazione del seme di cachi. Prelevato il seme viene tagliato. A secondo della forma del germoglio interno si potrà indovinare il tempo futuro. Solitamente ha la forma di una posata: coltello, forchetta o cucchiaio. Se è simile a un coltello l’inverno sarà freddo tagliente ma con poca pioggia. Se assomiglierà ad una forchetta l’inverno trascorrerà mite e poco nevoso. Se ha le fattezze di un cucchiaio seguirà un’invernata mite ma con episodi nevosi.
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