di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Qualche tempo fa, ormai un ventennio e anche più, c’era un luogo che era un punto di riferimento irrinunciabile per pittori, poeti, scultori e appassionati d’arte. Andarci era un piacere per gli occhi e la mente, anche per me. Stiamo parlando della Stamperia dell’Arancio di Riccardo Lupo, a Grottammare. All’inizio, la mia era una frequentazione per il desiderio di conoscenza, per respirare l’atmosfera d’arte a tutto campo; poi, man mano che con Riccardo cresceva l’amicizia, si apriva un mondo sempre più vasto, articolato e praticamente completo. Da un lato il lavoro tipografico ed editoriale sulla storia dell’arte con accurate pubblicazioni, dall’altro una produzione di alta qualità di litografie, xilografie e serigrafie. E ancora: esposizioni di artisti emergenti, la valorizzazione dell’arte del territorio, la poesia e la narrativa tramite la rivista semestrale Hortus.
Riccardo era pieno di iniziative, innamorato dell’arte come pochi, concretamente appassionato, con i suoi risvolti anche esistenziali e filosofici. Ed era figlio di Mario, quel Mario Lupo che, in quel periodo, se eri medico, ingegnere, notaio, industriale, e desideravi acquistate un dipinto, non potevi non avere un “Lupo” in casa. Non era solo per status: con la sua produzione smisurata e riconoscibilissima, la pittura e la grafica di Mario Lupo avevano ed hanno un linguaggio che va dritto al sentimento. Con le sue spatolate dense, materiche, nette e volutamente imprecise, con quel tocco di “sporco” nel colore (come qualcuno teneva a far notate) tratteggiava lo spirito delle cose, portando luce stratificata in certe ombre dell’esistere e del quotidiano.
I suoi gabbiani sulle onde o tra i fumi delle ciminiere di Marghera, in cieli tersi o velati da nubi dense in rapido sviluppo, ci parlano di vita non rassegnata, che va avanti, con la sua forza, nell’immutabilità di un destino che pur è fatto di tasselli impermanenti. Parlano di vita anche le sue donne, con l’abito informe e il grembiule, con il foulard in testa, sedute sulla spiaggia, in attesa dei pescatori o in un attimo di riposo, talvolta intente alla raccolta dei papaveri in campi poco distanti della battigia, o impegnate al mercato. Spesso a capo chino, avvolte nella loro fatica, nell’essere parte integrante di un paesaggio con i suoi elementi essenziali: la barca, i pini piegati dal vento, la duna di sabbia, le reti dei marinai, il carretto. E in sottofondo, spesso, quel sentore di una velata mestizia ma che, come si diceva, non spegne la forza della vita. Emblematici, in quest’ottica, i suoi alberi che resistono a tutto, pur piegati. Sono magnifici, corposi e quasi animati gli antichi ulivi di Torre Mileto nel Gargano.
Mario Lupo era nato a Giulianova nel 1926. Per la sua formazione si era spostato nelle Marche, dapprima ad Ancona, per perfezionarsi artisticamente, poi a Grottammare dove resta definitivamente, stabilendosi nell’antico borgo, in un palazzo storico che ha lo sguardo verso quel mare che ha amato molto. Dal 1954 in poi è un susseguirsi di mostre in Italia e in alcune città tra Europa e Stati Uniti: Parigi, Stoccolma, Amsterdam, Zurigo, Ginevra, New York, Toronto. L’elenco dei luoghi delle sue esposizioni è lungo, così come è articolata la sua arte: non solo pittura, non solo grafica. Celebre la scultura alta una decina di metri, conosciuta come Monumento al gabbiano Jonathan, lungo la ”the Jonathan’s way”, ovvero la passeggiata del molo sud di San Benedetto del Tronto, realizzata da Lupo e inaugurata nel 1986, ispirata al libro di Richard Bach e al suo Jonathan Livingston, il gabbiano che sogna la libertà e orizzonti più ampi, spiccando il volo su cieli nuovi ed esperienze impensabili.
Artisticamente curioso ed eclettico, si è occupato anche di scenografie. In molti ricordano, apprezzando, un murale di ben 60 mq, fatto nel 1977 all’interno di uno stabilimento a San Benedetto. Si è dedicato persino alla lavorazione del vetro, facendo esperienza nella “Fucina degli Angeli” a Venezia, realizzando opere poi esposte a Valencia e in Italia, a Parma e Pordenone. Con il grande Pericle Fazzini, concittadino e autore della celebre Resurrezione, esposta nell’Aula Nervi del Vaticano, ha pubblicato una cartella grafica dal titolo perfettamente in linea con la sua produzione: La speranza. Del lungo elenco delle mostre realizzate, ricordiamo: “Omaggio a Verga” a Catania, “Le salmastre attese” e “Voli attese e magiche trasparenze”, entrambe a Bergamo, “Racconti della Daunia” a Foggia, “Racconti di acqua amara” a Ginevra, “Gli olivastri di Torre Mileto” a Milano e a Roma, oltre che in una cittadina sul Gargano.
Interessante, infine, le pubblicazioni d’arte, come “Qualche miglio di tela olona”, “Il Cristo di tutti” comprendente le poesie di Padre David Maria Turoldo e l’autobiografia “Racconto la vita, racconto la pittura”. Mario Lupo è deceduto ancor giovane, nel 1992. In suo ricordo, sono state realizzate alcune retrospettive e La stamperia dell’Arancio ha pubblicato “L’immaginario del mare”, catalogo con un centinaio di riproduzioni. Personalmente, ogni giorno incrocio il volo disarmonico di una mezza dozzina di gabbiani affaticati, sopra un mare stanco e arrabbiato, con sullo sfondo ciminiere fumanti in un cielo che si tinge con i veleni industriali. Era il modo di Mario Lupo di parlare di ambientalismo attraverso la pittura.
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