di STEFANIA PASQUALI –
FERMO – La personale di Patrizia Di Ruscio è una vera sorpresa. Si accede alla sua esposizione attraverso il Palazzo dei Priori di Fermo, in Piazza del Popolo. Un incontro di gente che di arte e cultura se ne intende ma anche di curiosi che passando vedono all’ingresso uno strano personaggio: un manichino a grandezza naturale con un flauto in mano, vestito di giubba da “vecchio Circo” e in atteggiamento invitante. Non ci sono banditori ma un senso di attesa lo si percepisce, una sorta di curiosità verso quel portone che poi aprirà puntualmente i suoi battenti. Un breve spazio divide l’esterno con l’interno che conduce ad una stanza simile alle “scatole magiche” con tanto di carillon, di un tempo passato e che sa prendere per mano chi vi entra verso un viaggio a ritroso colmo di stupore.
La presentazione dell’artista, dopo i saluti iniziali è seguita dalla lettura recitata in presenza, della poesia “Il tempo” di Anna Maria Rita Daina. Seguono alcuni interventi, sottolineature che invitano a saper guardare le stupende opere esposte alle pareti. Patrizia Di Ruscio è una donna schiva, preferisce mostrare le proprie “creature” che mettersi “in mostra” e questo suo atteggiamento me la rende ancor più bella e nello stesso tempo, misteriosa. Visitare e descrivere la sua mostra richiederebbe giorni, tante le narrazioni descrittive che contiene. Ciò che maggiormente mi affascina è la simbologia tradotta in immagini come gli oggetti collocati ad arte nella grande stanza dalle pareti bianche.
Preponderante è la rappresentazione del gioco degli scacchi in cui ritrovare il Medioevo con i suoi vari “personaggi” dal monaco senza volto, al Re o alla Regina, dagli acrobati ai dadi, dagli animali della foresta ai pesci immersi in un azzurro che fanno pensare più al cielo che al mare. Le scacchiere quadrate diventano morbide, plastiche, divise in caselle rosse e bianche. I quattro lati rappresentano le quattro direzioni e i quattro elementi. Altro numero importante degli scacchi è l‟otto. Otto come ottagono, figura intermedia fra il quadrato simbolo della terra e il cerchio, simbolo del cielo. La scacchiera non è solo rappresentazione di un campo di battaglia, ma simboleggia l’elevazione spirituale. Otto sono anche le direzioni della rosa dei venti in cui riappare il volume geografico della terra. Otto è il fiore del loto nel suo significato di purezza e di elevazione verso il cielo.
Le scacchiere dell’artista rappresentano un macrocosmico mondo che racchiude il microcosmico come in una giocosa e fantasiosa sfida di luce e ombra. Non si compete in nuove partite con le scacchiere di Patrizia ma in un ordinato caos alla fine si dipanano i soggetti per direzioni senza lo schieramento classico iniziale. Molteplici le relazioni simboliche che riportano all’”Uno”, a quell’immagine dell’uovo che ha in sé tutte le possibilità dello sviluppo nel futuro. Alla fine, tuttavia, i pezzi non tornano come ci si aspetterebbe ma tutto può ripartire in un nuovo divenire, verso un nuovo mondo, nuove storie. Altro simbolo importante e presente è quello della “scala” intesa come emblema universale.
Rappresenta il salire e il discendere, il progresso e il regresso, l’evoluzione e l’involuzione. È un oggetto dinamico, ci parla della vita stessa dell’uomo che muta sempre, ad ogni istante, o in senso evolutivo o in senso involutivo. La consapevolezza che l’uomo ha di sé stesso si riassume attraverso i suoi gradini. Generalmente, si dice che siano sette o nove ma le scale nei quadri dell’artista sono lunghe, spesso proiettate verso l’infinito come la scala biblica di Giacobbe in cui l’uomo ne possiede già dentro di sé tutti gli aspetti: il salire, lo scendere, la sconfitta, la vittoria. La salita nella parte positiva porta all’unificazione, la discesa nella sua accezione negativa conduce alla disgregazione.
Altro elemento interessante riguarda i singoli individui, o singoli personaggi rappresentati in modo apparentemente casuale e in sequenze di storie fantasiose che si rifanno in parte al Paese delle Meraviglie di Alice, in una calma apparente d’una apparente tranquillità. Ed infine la Mostra invita chi guarda alla riflessione sull’oggi. La fase storica che stiamo vivendo è una fase di “crisi”, di sofferenza e nello stesso tempo di passaggio. Gli orologi senza lancette nei quadri ci restituiscono le scene del film “Il posto delle fragole”, capolavoro di Bergman degli anni Cinquanta, dal tema esistenziale e colmo di spunti. La narrazione di un tempo non tempo, o forse la ricerca d’un tempo perduto, ci pone fronte ad un lavoro pittorico conciliato con la vita e sereno, una ponderazione sull’importanza degli affetti e dell’apertura verso l’altro.
L’umanità sulla “scala” ha spesso un piede sollevato e, mentre si regge in modo instabile, va in cerca del gradino sovrastante. L’arte pittorica di Patrizia contiene in conclusione una comunicazione positiva che indica come dopo la fase oscura potrà esserci la fase luminosa, di “benessere” in cui tutto si capovolge come le chiome degli alberi che paiono radici e ci parlano di una nuova “era” con la possibilità di fare lo stesso volo degli “uomini appesi” in altre dimensioni insospettate.
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