di STEFANIA PASQUALI –
RIPATRANSONE – Ripatransone 22 luglio, mi trovo in Corso Vittorio Emanuele II, presso lo studio galleria dell’artista Mario Vespasiani per rispondere ad un suo gradito invito. Un invito personale che mi conduce in un affascinante spazio d’arte simile ad un palcoscenico di un teatro in miniatura. Ci si incontra casualmente con belle persone con le quali condividere letture recitate, esposizione di ricerca storica, declamazione di poesie, presentazione di un momento di danza classica, riflessioni filosofiche su temi importanti e tanto altro. Nessun protagonista principale “in scena” se non l’Arte stessa che il pittore Vespasiani in primis e il pubblico presente ne fa il soggetto principale attraverso la parola, l’emozione, l’ascolto attivo, l’azione in espressive gestualità.
Tema prediletto: la Musa presentata e vista non come dea o come donna-oggetto, ma come Musa che ispira il genio creativo, in una sorta di simbiotico rapporto d’anime. Un idillio impastato di luci e ombre, come il grande quadro di sfondo presenta con una catena di erti monti alla base e un cielo oscuro di una notte di pioggia o come lo sguardo fiero delle tigri. La tigre in molti paesi è ritenuto un animale sacro e Mario Vespasiani la raffigura molto bene conducendo chi guarda a quella visione esoterica di William Blake, poeta e artista inglese del XVII° secolo. Questo felino “Musa” ispira e diviene l’archetipo allegorico dell’immagine di un complesso di forze “titaniche” e terrificanti ma anche creatrici. La Tigre richiama ad una forza sovrannaturale che accede all’Assoluto con connotazioni positive per la potenza, negative per la natura selvaggia e talvolta distruttrice.
Quale ruolo più ambito e appagante che quello di raffigurare la creazione di un’opera d’arte, essendone fautrice dell’ispirazione dell’artista, attraverso le proprie fattezze, il proprio fascino, la propria anima? Ed ecco che la Musa, figura enigmatica e affascinante da sempre, diviene, forse anche inconsapevolmente, l’icona dell’originario divino che richiama all’ideale più alto dell’arte stessa. Non a caso sono state citate vite di donne significative come Gala Éluard Dalí, nota per essere stata la moglie e il soggetto di molte opere del grande artista di cui sono stati letti alcuni brani del suo interessante e prezioso Diario. Ed ancora la bellezza senza tempo di Simonetta Vespucci, nata Cattaneo, nella “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli o Beatrice di Dante Alighieri o Laura del Petrarca. Non da meno Santa Maria Maddalena, di cui il 22 luglio, a Ripatransone ne ricorre il ricordo in quanto Patrona. La sua figura emblematica descritta sia nel Nuovo Testamento che nei Vangeli apocrifi, ne fa una delle più importanti e devote discepole di Gesù. Innamorata del divino poté assistere alla crocifissione per farsi poi prima testimone oculare e prima annunciatrice dell’avvenuta Resurrezione.
Grazie all’influenza che determina sull’artista, la “Musa” si concretizza in ogni esplicitazione artistica. E quale ideale potrebbe mai essere più alto che quello di elevare la propria condizione terrena in qualcosa di spirituale come l’arte a tutto tondo? D’altro canto, ciò è dimostrato dallo stesso Mario Vespasiani che si richiama alla sua donna prescelta, Mara, esaltandone la bellezza che sappia richiamare a quella Bellezza Superiore e Perfetta di Dio. Seguendo il pensiero michelangiolesco, secondo cui l’opera d’arte è già connaturata nel blocco di marmo e lo scultore ha il solo compito di svelarla, la creazione sarebbe completamente suggerita, mentre l’artista diverrebbe quel talento capace di svelare ciò che non si vede. Durante l’evento inaspettato per forma, non sono mancate le poesie o una delicata performance di danza in tutù bianco di una bellissima e giovanissima ballerina.
Ma una domanda legittima Mario Vespasiani ce la pone ad alta voce: al giorno d’oggi chi è la Musa? In un momento storico di scarso stile e con pochi valori, dove basta apparire senza contenuti o presenziare sé stessi sempre e ovunque, le Muse di oggi sono ben poca cosa. Contenitori vuoti, fenomeni di costume di un’epoca malata e fragile, che non elevano né aiutano i nuovi tragitti che l’arte contemporanea cerca, a volte affannosamente, di percorrere. Quello che però colpisce sono le riflessioni impossibili da trascurare che sono state proposte ai presenti, sugli effetti di questo periodo pandemico. Effetti che stanno sempre più emergendo a livello sia individuale che nella società. Basti pensare all’isolamento sociale, la lunga reclusione in casa e il peso dell’incertezza generale. La pandemia in tutte le sue varie fasi ha fatto crescere il disagio ovunque come stress, preoccupazione per la propria salute, percezione di non poter salvaguardare sé stessi e gli altri, i timori legati ai problemi dell’economia.
Ben vengano allora iniziative culturali come quelle che Mario Vespasiani desidera e sa proporre a chiunque ambisca tornare ad aprire porte e finestre su un modo che sogna fortemente di ricominciare a vivere. L’arte ha in sé una vocazione e una voce profetica da proporre. Bisogna farla scoprire, additarla come via d’uscita dal ginepraio delle limitazioni e come scrive Robert Henri: «L’arte non si può separare dalla vita. È l’espressione della più grande necessità della quale la vita è capace». Auguro a Mario Vespasiani di poter ripetere l’incontro culturale di questo bellissimo pomeriggio trascorso a Ripatransone, fra ineguagliabili scorci di paesaggi che lasciano ogni volta il visitatore senza parole e con l’animo ricolmo di emozioni.
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