di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Si resta sorpresi nel leggere il libro di Giancarlo Cocco, “Storia di Etra Pitteo in arte Dria Paola”, scoprendo, o riscoprendo, un’epoca gloriosa che tendiamo a dimenticare e che ha rappresentato l’alba della moderna cinematografia. Ci sono persone che hanno vissuto e rappresentato un cambiamento epocale, raffigurando un simbolo, dipingendo con bravura ed abilità l’immaginario collettivo. Una di queste persone è Pietra Giovanna Matilde Adele Pitteo, chiamata Etra dagli amici ma conosciuta dal pubblico del tempo come Dria Paola, nome d’arte dalla bella sonorità, con quel tocco di esotico e di misterioso molto adatto alla sua notevole bellezza e alla capacità espressiva. Etra scelse quel nome per entrare nelle scene e nei cinematografi dell’Italia della prima metà del ‘900. E lo fece con determinazione, con riconosciuta capacità, pur senza ostentazione. Eppure avrebbe potuto, perché era ritenuta tra le maggiori attrici del tempo, prima nel muto, poi nel sonoro. Ecco, qui sta il cambiamento. La storia del cinema era iniziata nel 1895, in bianco e nero e priva di sonoro. Tutto poggiava sulla forza espressiva, affidata alla capacità degli occhi, alla mimica e ai movimenti, avvalendosi di scenografie molto accurate, fin nei minimi dettagli.
L’attenzione dello spettatore passava dalle immagini alle didascalie delle frasi, mentre in sala c’era, non sempre, una piccola orchestra che suonava dal vivo, realizzando, come uno spettacolo a sé, l’accompagnamento musicale al film. Talvolta, in alternativa, la musica veniva diffusa da un grammofono. Se ci immergiamo con l’immaginazione negli anni Venti del ‘900 ci rendiamo conto che le pellicole mute erano il massimo che la tecnologia potesse consentire e l’immedesimazione negli attori era inevitabile. Il “divismo” ha conosciuto un periodo glorioso all’epoca. Le attrici ricevevano centinaia di lettere di uomini innamorati e persi nei loro occhi, con infinite e improponibili proposte di matrimonio. Era così anche per Dria Paola che rispondeva a molte di queste missive. Dria era talmente brava nelle scene drammatiche che non aveva bisogno di “artifici”. Si calava bene nel ruolo interpretato, sapeva piangere, ridere, rattristarsi, gioire con estrema naturalezza, dando senza difficoltà un carattere al personaggio. Normale che fosse una delle attrici più richieste.
Ma qualcosa stava cambiando. Quando gli spettatori, e tra loro anche il Capo del governo, andarono al Supercinema di Roma, il 7 ottobre del 1930, a vedere un film di Gennaro Righelli, “La canzone dell’amore”, interpretato da Dria Paola e Isa Pola, restarono stupiti dalla sorprendente novità, e forse increduli. Non c’erano quelle orchestrine che a volte non sapevano andare a tempo con le scene, non c’erano le didascalie da leggere distraendosi dalla pellicola, non c’erano volti che parlavano senza parole, come in un mondo a parte, asettico, isolato, appartato e irraggiungibile. All’improvviso, e per la prima volta in Italia, il mondo rappresentato coincideva con quello vissuto: i suoni erano i suoni della vita, le voci avevano timbri riconoscibili, le attrici non erano solo volto ed espressioni. Erano anche voce, ritmo, sonorità. E gli spettatori, ora, potevano innamorarsi di donne complete, meno “immaginate”. E Dria fu la diva (ma anche antidiva) del momento. Seppe cavalcare con maestria il cambiamento. Seppe essere altrettanto brava nel sonoro come nel muto. Non sembri cosa ovvia. Molti attori e attrici conobbero un rapido declino nel cambiamento, non seppero adeguarsi a quella novità che era una vera pietra miliare. Dria, invece, si affermò maggiormente con il sonoro.
Ci aspetteremmo che Etra Pitteo, ovvero Dria Paola, avesse un posto nella memoria, un riconoscimento conclamato, un posto d’onore, un qualche moderno premio cinematografico con il suo nome. Invece no. Negli anni ’40, quando ancora era famosissima, e dopo oltre trenta film (alcune fonti parlano di una una cinquantina di pellicole), decise di ritirarsi, di essere “normale”. Una scelta personale e rispettabile ma che la portò lontana dai suoi ammiratori. E in un mondo che imparava ad andare di fretta, Etra Pitteo fu gradualmente dimenticata. Va dato pieno merito al giornalista Giancarlo Cocco che, vestendosi da storico accurato e minuzioso, e con l’intenzione di restituire all’attrice la giusta dimensione, ha scritto una attenta ed esaustiva monografia: “Storia di Etra Pitteo in arte Dria Paola” con un sottotitolo molto appropriato, “la donna che ha dato la parola al cinema italiano”.
Ricordando la vita e le interpretazioni di Etra, i suoi percorsi e le sue scelte, il libro menziona le pellicole di quel periodo storico, con dovizia di particolari, la storia delle case cinematografiche, sempre più numerose e industrializzate, i personaggi della prima metà del ‘900, registi, attori, scenografi che con Dria avevano lavorato. Tempi straordinari quelli, con personaggi di primo piano, da Petrolini a Vittorio De Sica, da Amedeo Nazzari ad Anna Magnani. E un giovanissimo Alberto Sordi, allora esordiente. Veri pionieri di un cinema sempre più comunicativo e moderno di cui Dria era parte. Lei, che era stata protagonista del primo “film che parla” come dicevano i contemporanei. E il cinema era diventato “il più stupefacente spettacolo del mondo”, come riporta Giancarlo Cocco nel suo bel libro, la cui lettura è vivamente consigliata anche per capire lo spirito di quel tempo storico.
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